Ventitre miliardi e duecento milioni di euro. E’ questa la cifra iperbolica che corrisponde al costo annuale della politica in Italia. Per evitare confusioni, traduciamola in quella nostra vecchia e gloriosa valuta che era la lira: poco meno di 45mila miliardi di lire.

Roba da far venire la pelle d’oca a chiunque, visto che una delle manovre più “lacrime e sangue” che ci imposero negli anni passati, quella di Amato, ci costò poco meno di 50mila miliardi.
Ma dove finisce questo oceano di danaro? In molti intuiranno dalle inchieste in corso che oltre a sostanziosi (e finalmente dichiarati illegali) rimborsi elettorali, i partiti si autodistribuiscono senza controlli rimborsi per le attività più varie: dallo scontrino della toilette pubblica ai deodoranti, alle mutande, a cene ed alberghi, e solo il limite della fantasia può dire basta a qualsiasi cosa vi venga in mente.
Lo studio della Uil, che ha quantificato quasi al centesimo la somma con tanto di tabelle documentali, dimostra che ogni cittadino che presenti una dichiarazione dei redditi nel costo delle tasse paga anche ben 757 euro per il costo della politica, ed in dettaglio per mantenere una pletora di un milione centomila persone che oltre a quanto (eventualmente) son capaci di guadagnare dal proprio lavoro si riempiono la pancia e le tasche con i nostri soldi.
Le proposte della Uil per recuperare non meno di sette miliardi da destinare allo Stato sociale? vediamole insieme: “3,2 miliardi si potrebbero risparmiare sulle spese di funzionamento (non quelle per gli organi istituzionali) accorpando gli oltre 7.400 Comuni con meno di 15 mila abitanti, un altro miliardo e 200 milioni potrebbe arrivare da un taglio delle spese delle Province, e un altro miliardo e mezzo da un ulteriore taglio delle uscite delle Regioni. Infine, 1,2 miliardi in meno di spesa potrebbero arrivare da «una razionalizzazione del funzionamento dello Stato centrale degli uffici periferici, anche a seguito dell’avvenuto decentramento amministrativo». In tutto 7,1 miliardi di tagli che la Uil propone in un momento in cui sta entrando nel vivo il lavoro del commissario di governo per la spending review, Carlo Cottarelli, che di risparmi ne ha promessi ben 32 miliardi di euro nel triennio 2014-2016“.
Vi sembra troppo? E invece si può fare meglio e di più. Io proporrei di ritornare – per gli enti locali, al Testo unico delle leggi comunali e provinciali vigente ancora negli anni ’80, secondo il quale, ad esempio, il sindaco di un comune aveva diritto se dipendente all’aspettativa dal lavoro con uno stipendio pari a quello in godimento presso il lavoro stesso, e se lavoratore autonomo ad una indennità che all’epoca non superava, se la memoria non mi inganna, il milione e mezzo di lire. I consiglieri prendevano solo un gettone di presenza ad ogni seduta consiliare (ma non se ne facevano certo tutte le settimane), pari a circa 50.000 lire. Non ricordo bene se il vicesindaco percepisse una piccola indennità che sicuramente non toccava all’assessore.
E, poi, abolirei del tutto e ad ogni livello le cosiddette “consulenze”, che sono, e smentitemi se potete, solo uno strumento per fare becero clientelismo e magari anche per recuperare ulteriori somme illecitamente con la complicità del consulente medesimo. Potrei continuare a lungo, ma son certo che vi piacerà aggiungere voi stessi altre idee a queste.

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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