«Buongiorno, sono Papa Francesco. Diamoci del tu». E’ questa una delle frasi che si legge più frequentente sui giornali ogni volta che il vescovo di Roma chiama una delle centinaia di persone che si rivolgono a lui con la speranza di avere una parola di conforto o la risoluzione di un problema.
«Diamoci del tu»: lo sta dicendo il capo della Chiesa cattolica, unica monarchia “assoluta” e cioè a responsabilità unica di governo del suo “re”, che sia rimasta al mondo.
E’ un’altra delle meravigliose innovazioni che questo Pontefice sta introducendo in una Chiesa sull’orlo del collasso, pronta a crollare su se stessa come gli edifici fanno sotto le mani di esperti artificieri. E forse proprio a queste innovazioni, che vanno dalla radicale modifica dell’organizzazione dello Ior all’introduzione del collegio di otto cardinali che lo assisteranno nel governo della Chiesa, il Vaticano potrà salvarsi restituendo ai suoi fedeli la fiducia quasi del tutto persa. Solo per cronaca aggiungo che della popolazione Italiana, che dovrebbe superare la percentuale del 75 per cento di cattolici, i “veri” praticanti sono ormai ridotti a circa il 15 per cento. Meno di dieci milioni, a conti fatti.
L’esempio di Papa Francesco, però, che predica umiltà prima ai suoi sacerdoti e poi al mondo non sembra al momento essere seguito: tutti, dalle gerarchie ecclesiastiche all’ultimo dei dirigenti d’azienda, specialmente nel nostro Sud, continuano a mantenere inalterata la pessima abitudine di pretendere del “lei” (o del “voi”, dipende dalle zone) e di dare del tu.
Ora mi domando: o essere dal valore economico di pochi centesimi (in napoletano “ommo ‘e ddoie lire”, credi davvero di essere così grande rispetto a chi ti sta di fronte da poterti permettere di umiliarlo in tal modo? E in cosa saresti grande? Nell’essere un medico specialista a fronte del tuo paziente? Nell’avere una tonaca, magari solo quella di frate? Nell’essere parlamentare nazionale o regionale di fronte al tuo elettore?
Non voglio citarvi la celeberrima “a’ livella” a proposito di quel che saremo poi, ma solo invitare i lettori a ricordare bene quel che faceva Eduardo De Filippo nel film “L’oro di Napoli”: al passaggio del nobilastro di turno, alla fine di una lunga elencazione dei titoli da questi posseduti, insegnava a “recitare” la forma più potente di derisione della superbia e della tracotanza. Una sonora pernacchia. Ecco, la prossima volta che qualcuno vi desse del tu e non vi invitasse a fare altrettanto ricordatevene, elencategli i titoli e poi via, a tutto fiato!

 

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