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A detta dei giudici italiani, commentare un post con emoticon come quella del pagliaccio, dell’escremento, del maiale e tante altre può assumere una portata tale da ledere l’altrui reputazione e superare i limiti del diritto di critica

di Danila Sarnoemoticon

Al giorno d’oggi è necessario prestare molta attenzione nell’utilizzo dei social network. È infatti possibile commettere reato di diffamazione aggravata anche solo usando una semplice emoticon per commentare un post. Il motivo? Le piccole icone colorate, tanto diffuse nella moderna comunicazione elettronica, sono in grado di esprimere concetti ed emozioni in modo persino più efficace di parole o intere frasi. Si pensi, ad esempio, all’emoji di un pagliaccio, di un maiale, di un gabinetto o di un escremento: si tratta di immagini che sono evidentemente idonee a insultare ed offendere la vittima.{loadmoduleid 284}

In effetti, il reato di diffamazione consiste nella condotta posta in essere da chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, andando oltre la normale critica, che è invece del tutto lecita se connotata da rilevanza sociale e correttezza delle espressioni adoperate (continenza formale). Il suddetto reato, inoltre, è aggravato se commesso con un mezzo, come un post o un commento sui social, idoneo a raggiungere in poco tempo un numero elevato di persone. socialQuanto detto trova conferma anche nella giurisprudenza italiana. Si pensi al tribunale di Verona che, con decreto del 27 gennaio 2020, ha condannato un consigliere comunale che, attraverso l’uso su Facebook di un’emoticon raffigurante un escremento, aveva leso la dignità e la reputazione di un rivale politico, con una manifestazione d’odio gratuita che supera i suddetti confini del diritto di critica, in particolare il limite della continenza formale. Il giudice di primo grado ha pertanto ordinato all’imputato l’immediata rimozione dell’emoji diffamante, comminando l’applicazione di una penale di 150 euro per ogni giorno di ritardo nella cancellazione. 

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