La conversione di San Paolo

Gli esegeti cattolici lo definiscono il perfetto esecutore della dottrina di Cristo, ma basta semplicemente legger bene gli Atti degli apostoli e le sue lettere per capire la verità

Si chiamava Saulo e nacque a Tarso, in Cilicia, regione della Turchia, tra il 10 e il 4 a.C., ed era inizialmente un ebreo fariseo (vedi Atti 22 e 26), di cittadinanza romana, che inizialmente di mestiere vendeva e costruiva tende.
Tutti noi lo conosciamo come San Paolo, “l’apostolo delle genti“, e fin da bambini ci hanno insegnato che fu dapprima, a partire dal 35 d.C. circa, un persecutore della neonata religione cristiana, e poi, dopo la famosa “visione” sulla via di Damasco, fervente cristiano. A completamento ci hanno sempre detto che fu in piena armonia con Pietro, Giacomo e la comunità primitiva dei giudeocristiani.
Ma le cose stanno davvero così?
Oggi lo scopriremo, anche se va sottolineato che di tutta la vicenda noi abbiamo solo la versione di San Paolo e non anche quella dei dodici apostoli. Quello che sappiamo con certezza assoluta è che essi non hanno mai avuto in mente, né lo aveva in mente l’ebreo strettamente osservante Gesù, di dar vita a un culto che si distaccasse da quello della legge di Mosè.
E dunque partiamo con la cosiddetta conversione. Ne abbiamo, negli atti e nelle lettere di San Paolo, due versioni diverse e contrastanti. Chi ha scritto quella sbagliata, e qual era delle due? Analizziamole, puntualizzando che gli Atti degli apostoli sono stati scritti non prima delle lettere di Paolo, ma fino a 30 anni dopo. Infatti le lettere sono state scritte tra il 50 e 65 (come sostengono anche la Bibbia delle edizioni Paoline e papa Paolo VI nei suoi scritti); gli Atti in un periodo che gli studiosi fanno variare dal 60 al 90 dopo Cristo.San Paolo
E dunque, la vicenda della caduta da cavallo sulla via di Damasco, la successiva cecità e la restituzione della vista da parte di Anania sono in Atti 9, 22 e 26. Ma “San” Paolo in persona, nella seconda lettera ai Corinzi, versetti da 2 a 4, racconta un evento completamente diverso da cui ha inizio la sua predicazione. Leggiamo il testo insieme:
Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare“.
Inutile sottolineare che l’uomo citato da Paolo era lui stesso. Oggi a una persona che facesse dichiarazioni del genere consiglieremmo subito uno psichiatra. Non vi basta quanto contenuto nella seconda lettera ai Corinzi per accettare l’idea che Paolo fosse solo un mitomane alla ricerca di guadagni facili? E allora leggiamo anche quanto dichiarato nei versi 11 e 12 della prima lettera ai Galati. “Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo!”.
Qui “la domanda sorge spontanea”, come avrebbe detto il compianto giornalista Antonio Lubrano: caro Paolo, ma se tu sei stato scelto, fatto apostolo e istruito direttamente da Gesù, allora i 12 che avevano conosciuto ed avevano vissuto con Gesù Cristo, erano impostori o una banda di deficienti? Tanto che Gesù è venuto da te e ha detto “Paolo, mettici una mano tu che quei 12 sono una manica di incapaci?”. Fa davvero sorridere questa cosa.
Che Paolo avesse una paura matta di essere smascherato lo rivela lo stesso testo di Galati 1, dove leggiamo: “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!“. Insomma, approfittava dell’ignoranza delle persone e della paura dell’ignoto per far passare forzatamente il suo messaggio. Un’abitudine che la Chiesa nei secoli non ha perduto e anzi, l’ha rafforzata!
Sempre in Galati 1, versi 18-20, troviamo anche una notizia che la dice lunga sulla presunta armonia tra lui e gli apostoli. Infatti li incontra per la prima volta (ammesso che sia vero) solo tre anni dopo l’inizio della sua predicazione: “In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco“. San Pietro e San PaoloE invece Paolo, le cui lettere sono piene di giustificazioni e giuramenti di dire il vero non richiesti, come abbiamo visto recentemente era chiamato da diversi autori del primo cristianesimo e nei testi di Qumranil mentitore” e “l’apostata della legge” (mosaica, ovviamente).
In sintesi, dalla comparazione tra lettere di Paolo e Atti appare chiaro come ci sia stata una netta frattura tra i seguaci diretti di Gesù, ovvero gli apostoli e la comunità originaria di Gerusalemme, che operava nel pieno rispetto della legge mosaica, e le “novità” introdotte da Paolo come la non circoncisione, l’abbandono della legge mosaica, l’affermazione che bastasse la sola fede in Cristo per raggiungere la salvezza mentre gli Apostoli sostenevano (vedi la lettera di Giacomo) che fossero necessarie anche le opere di carità verso il prossimo.
E se in Atti 15, laddove si descrive il Concilio di Gerusalemme, si dà notizia di un accordo tra Paolo e Apostoli, assegnando a Pietro la predicazione agli ebrei circoncisi e a Paolo quella ai pagani non circoncisi, basta arrivare al capitolo 21 degli atti per trovarvi cose completamente diverse. Al verso 21 leggiamo una frase che Giacomo rivolge a Paolo che è arrivato a Gerusalemme: “Ora hanno sentito dire di te che vai insegnando a tutti i Giudei sparsi tra i pagani che abbandonino Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le nostre consuetudini“.
Questo da un lato conferma ulteriormente, qualora ci fosse stato ancora qualche dubbio, che gli apostoli e Gesù fossero prima e fossero rimasti dopo ebrei osservanti che rispettavano le 613 mitzvot (i comandamenti) ricevuti da Yahweh attraverso Mosè, dall’altro che il cristianesimo predicato da Paolo non aveva assolutamente nulla a che fare con la predicazione originale di Gesù. Peccato però che i cristiani cattolici, ortodossi e protestanti siano tutti figli del cristianesimo letteralmente inventato dal mentitore Paolo di Tarso.

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione