Il secondo spettacolo de “L’Essere e l’Umano” racconta la vera corrispondenza tra un magistrato e un ergastolano con la regia di Simone Schinocca, che abbiamo intervistato

Dopo “Conosci Victor Jara?” che ha inaugurato l’edizione numero otto de “L’Essere e l’Umano” a cura di Simona Tortora e Artenauta Teatro con l’organizzazione di Giuseppe Citarella e il patrocinio del Comune di Nocera Inferiore, venerdì sera alle 20:45 al teatro Diana andrà in scena “Fine pena ora” con Salvatore D’Onofrio, Costanza Maria Frola, Giuseppe Nitti e la regia di Simone Schinocca.

Lo spettacolo è ispirato all’omonimo libro autobiografico del magistrato, ex membro del CSM, Elvio Fassone che raccoglie la corrispondenza ultratrentennale con l’ergastolano Salvatore, condannato giovanissimo dallo stesso Fassone.

Nell’adattamento di Schinocca trovano spazio dettagli e retroscena di questa relazione complessa ed incredibilmente umana in cui le lettere sono forse solo un pretesto per tenersi in equilibrio, connettersi e incontrarsi.

Del libro esiste già una versione teatrale, prodotta dal Piccolo Teatro di Milano con la drammaturgia di Paolo Giordano; quella che però sarà rappresentata al Diana, che gira l’Italia da 3 anni e che riprenderà il suo giro dopo venerdì, è una rappresentazione completamente diversa perché arricchita di quello che succede dopo la fine del libro che si chiude con un tentativo di suicidio da parte di Salvatore, per il quale l’uomo si è poi scusato con Fassone.

Utilizzando l’escamotage del sogno, ciò che avviene sul palco è la narrazione di una insonne notte prima di un’udienza, l’ennesima, per la libertà condizionale. Tra le tante corde che caratterizzano la scenografia, i due protagonisti, ai quali si aggiunge il personaggio di Rosi, ex compagna di Salvatore, figura di attesa quasi fosse un’omerica Penelope, si confrontano e riflettono mettendo in scena un’umanità solo apparentemente distante.

Come avviene l’incontro con il testo di Elvio Fassone e come nasce l’idea di un adattamento?
Dopo aver divorato il libro in una sera, ho contattato Fassone e gli ho parlato dell’idea di trasporre il testo: idea che a lui piacque molto. Due settimane dopo mi ha contattato dicendo di aver ricevuto la chiamata del Piccolo di Milano con una proposta simile: dunque è andata in scena una prima versione prodotta da loro. Nel periodo del primo lockdown, Fassone mi ha cercato chiedendomi se fossi ancora interessato ad una trasposizione. In una lunga intervista mi ha raccontato quello che è accaduto dalla fine del libro ad oggi. Dal tentativo di suicidio, Fassone si è reso conto che il rapporto tra loro è diventato sempre meno “forma” e sempre più la ragione per cui Salvatore è ancora in vita. Da quel momento è diventata una vera relazione “padre-figlio”. Quando Fassone decise di getto di inviare una lettera a Salvatore all’indomani della sentenza, con allegato un libro, Siddhartha di Herman Hesse, iniziò una conversazione formale fatta, sostanzialmente, di sprono a dare un senso a quella permanenza; man mano che è passato il tempo la conversazione è andata sempre più in profondità.

Salvatore ha potuto vedere lo spettacolo?Sí. Siamo riusciti nel piccolo miracolo di far avere un permesso a Salvatore: dopo 42 anni c’è stato l’incontro anche con la famiglia di Fassone. Hanno assistito allo spettacolo vicini: quando ho visto la scena di loro due nel teatro vuoto, è stato molto emozionante.

Per info, prenotazioni e per acquistare il biglietto, è possibile rivolgersi al botteghino del teatro Diana dalle 18:00 alle 20:30, oppure telefonando al 3205591797 o al 3287892486.