I due Gesù di cui parla il Vangelo di Matteo

Anche il pontefice da poco scomparso, in un suo libro, ha parlato di questa variante presente in diversi codici e nota anche ad Origene nel II° secolo. E ne ha dato una sua spiegazione

Lo sapevate che ci sono due Gesù nei Vangeli? In particolare, in alcuni codici contenenti il vangelo di Matteo, al versetto 27,17, quello, per capirci, che recita «Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?», nell’originale in greco vedono  scritto: «Chi volete che vi rilasci: Gesù detto il Cristo o Gesù detto il Barabba?». Si tratta – tra gli altri – dei codici “Q”, “F1”, “700”.
La vicenda, già nota ai tempi di Origene, padre della Chiesa, che ne parla nel suo “Commentario al vangelo di Matteo” e però esclude possa essere ammesso perché “nessun peccatore può portare il nome di Gesù“. Una considerazione alla quale probabilmente si sono attenuti molti copisti.
Ma a darci una spiegazione “ufficiale” è nientepocodimenoche papa Benedetto XVI che ne parla nel suo libro “Gesù di Nazareth“.
Egli scrive che Barabba era una figura messianica. La scelta tra Gesù e Barabba non fu casuale: due leader a confronto, che rappresentano due diversi messianismi: quello politico di Gesù Cristo e quello sacerdotale di Barabba. La vicenda diventa ancor più stuzzicante se consideriamo che Bar abbas significa “figlio del padre”, ovvero, per traslazione, “Figlio di Dio”.
Secondo papa Ratzinger, e anche secondo Origene (nato tra il 183 e il 185 e morto a Tiro nel 253 o 254) Bar Abba sarebbe un alter ego politico di Gesù Nazareno, che rivendica la stessa pretesa in modo tuttavia completamente diverso: la scelta è quindi tra Yeshua Bar Abbàs, un Messia alla guida della lotta armata, che promette nella vita presente la liberazione dallo strapotere imperiale romano per instaurare un nuovo Regno di Israele, e Yeshua Bar Yosef, Gesù figlio di Giuseppe, detto il Cristo, il quale promette, invece che la vita presente, la vita eterna a condizione di deporre le armi e rinnegare sé stessi.
Lo so che contraddire un pontefice richiede coraggio, ma dobbiamo ricordare che ai romani delle religioni dei popoli conquistati importava meno di cosa abitualmente mangiassero: bastava che i popoli accettassero la divinità dell’imperatore e pagassero le tasse.
Che nell’ipotetica scelta del popolo (di cui parleremo a breve) tra il messia spirituale Gesù Cristo e il messia politico Barabba venisse scelto il secondo per preservare la nazione sa davvero di arrampicatura teologica sugli specchi!
La più probabile verità è che ci sia stato uno scambio di ruoli tra l’innocuo Barabba, il “figlio del Padre”, e il Cristo. Da cosa lo deduciamo? È piuttosto semplice: innanzitutto, come detto prima, ai romani di questioni religiose dei popoli conquistati importava davvero poco. Poi per il fatto che sul titulum crucis (per capirci, quel piccolo cartello che tutti ricordate con la scritta I.N.R.I.) vi fosse come motivazione Iesus Nararenus Rex Iudeorum, ciè Gesù Nazareno Re dei Giudei.
Un leader spirituale non si proclama re della Giudea. A parte che poi, in un altro articolo, andremo a dettagliare bene che Nazareno non significa affatto di Nazareth ma tutt’altro, e non solo. Infine, dal fatto che Gesù, o meglio Giosuè come ormai i nostri lettori sanno, è circondato da persone tutt’altro che pacifiche, come Simone detto Pietro (o Cefa in aramaico), che sta appunto per “roccia” intendendo l’aspetto fisico; Giuda Iscariota, che viene dall’ebraico sheqer e significa sicario; Simone lo zelota, e non pare che gli Zeloti fossero esattamente brave persone; Giacomo il maggiore e suo fratello Giovanni, figli di Zebedeo soprannominati da Gesù Boanerghes, cioè ‘figli del tuono’. E anche qui non si tratta di tranquilli cherichetti. Cristo, in molti studi anche nell’ambiente cattolico, è ritenuto alla fine un rabbi messianico antiromano, condannato alla croce quando il suo progetto di (una ennesima) rivolta contro i conquistatori viene stroncato.
In aggiunta, c’è il fatto che nessuna fonte riporta – nemmeno nelle province romane più fedeli, figuriamoci in una così burrascosa come la Giudea – l’abitudine di rilasciare un prigioniero in occasione di qualche festività. Un’ultima considerazione: Ponzio Pilato è conosciuto dalle cronache come una persona piuttosto spietata. Voi pensate davvero che se avesse avuto sottomano due prigionieri entrambi, per motivi diversi, pericolosi per la stabilità della provincia della Giudea, avrebbe consentito la liberazione di uno di essi a furor di popolo?

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione