Lo studio delle lingue classiche dovrebbe essere non soltanto un’ulteriore occasione di riflessione sulla lingua italiana, ma anche uno stimolo ad interpretare il mondo classico in chiave moderna

Nella scuola 3.0 ha ancora senso parlare del Latino o della sua “effettiva utilità”?

La realtà è che in Latino si è formato il sistema intellettuale ed emozionale del mondo in cui ci troviamo: è il codice genetico dell’Occidente e, inoltre, favorisce il miglioramento della conoscenza dell’italiano, la formazione della personalità complessiva degli alunni, allenandone il senso critico.
Molti studenti hanno timore di questa disciplina e preferiscono evitarla, spesso erroneamente considerandola una lingua morta, che non ha nessun valore nella società contemporanea. Per poter superare le perplessità è necessario cambiare l’approccio all’insegnamento delle discipline classiche, andando oltre alla declinazione dei testi. Lo studio delle lingue classiche dovrebbe essere non soltanto un’ulteriore occasione di riflessione sulla lingua italiana, ma anche uno stimolo ad interpretare il mondo classico in chiave moderna, analizzando il pensiero degli antichi per poter comprendere meglio il “confronto tra culture” e i “mutamenti culturali” cui la nostra società va quotidianamente incontro.
Dal punto di vista metodologico il Latino non è soltanto una lingua antica ma è esercizio del pensiero: c’è chi lo paragona alla matematica, chi agli scacchi, ma si concorda sul fatto che lo studio del Latino impone il suo metodo di pensiero per l’ordine nella frase; per la costanza nello studio; per la logica che richiede.
Studiare il Latino fa parte dell’innovazione della didattica, lo studio di questa disciplina è funzionale non soltanto al perfezionamento della comunicazione nella lingua italiana, ma anche all’affinamento – tanto per usare una espressione alla moda che non incontra tuttavia il gradimento di chi scrive – delle life skills competenze interpersonali, sociali e di cittadinanza, fondamentali per il percorso di crescita dei nostri studenti.
Non si sarebbe dovuto eliminare dalle Scuole Medie l’insegnamento del Latino e questo è stato un errore gravissimo, perché sono proprio le famiglie più deprivate ad aver bisogno di studiare le discipline più formative, come ebbe a scrivere Antonio Gramsci (“Quaderni dal carcere” 4 [XIII], 55): “Nella scuola moderna mi pare stia avvenendo un processo di progressiva degenerazione: la scuola di tipo professionale, cioè preoccupata da un immediato interesse pratico, prende il sopravvento sulla scuola «formativa» immediatamente disinteressata. La cosa più paradossale è che questo tipo di scuola appare e viene predicata come «democratica», mentre invece essa è proprio destinata a perpetuare le differenze sociali. […] Ma la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un manovale diventi operaio qualificato, ma che ogni «cittadino» può diventare «governante» o che la società lo pone sia pure astrattamente nelle condizioni generali di poterlo diventare”.
Dopo lo sfascio alienante delle varie riforme, sarebbe forse il caso di ripensare globalmente alla scuola, alla valenza del Latino sin dal primo anno della Scuola Secondaria di I Grado, la vecchia Scuola Media, e di ritornare a una scuola che abbia al proprio centro la vera formazione e la costruzione del cittadino.

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