Loretta Napoleoni e la copertina del suo nuovo saggio

Sotto la lente della nota economista ed esperta internazionale di terrorismo i nuovi potenti oligarchi del secondo decennio del 2000: i tecnocapitalisti

Si intitola “Tecnocapitalismo. L’ascesa dei nuovi oligarchi e la lotta per il bene comune” l’ultima fatica editoriale di Loretta Napoleoni, edita da Moltemi e dal 2 maggio nelle librerie di tutta Italia.

Giovedì 8 maggio, a partire dalle 17:30, nello Spazio Guida di via Bisignani 11 a Napoli, l’autrice sarà intervistata dai dirigenti nazionali e campani dell’associazione Amerigo che ha organizzato l’evento, tra i quali anche Diego Guida, giornalista partenopeo proprietario della nota casa editrice.

Il saggio, tra le altre cose, punta l’attenzione sui nuovi oligarchi, che l’autrice definisce che l’autrice definisce «tecnotitani» e «baroni dello Spazio»: Jeff Bezos, Larry Page, Elon Musk e Mark Zuckerberg. «Gli uomini più potenti al mondo, che hanno dato vita alle innovazioni che hanno a loro volta plasmato il mondo odierno».

Il libro si fa leggere quasi tutto d’un fiato: pur trattando di argomenti legati alla tecnologia e all’economia e a come esse stanno portando il mondo verso una distopia che definire “catastrofica” non sembra azzardato, l’autrice riesce ad essere compresa – grazie al linguaggio che usa – anche da chi con questi argomenti ha poca confidenza.

«I cambiamenti sono così rapidi che ogni azione appare inutile. a mettere ansia non è la paura dell’ignoto ma la velocità del presente», scrive Loretta Napoleoni, che aggiunge: «La tecnologia è un bene comune che dovrebbe essere messo al servizio dell’umanità, ma questo non avviene senza l’intervento dello Stato che tanto garantisca. Noi ci stiamo rendendo conto di andare verso la distopia. E se volessimo fare un esempio comprensibile a tutti di cosa intendo basta rifarsi al film “The Matrix”. Quello è uno scenario che già esiste: nell’informazione, ad esempio, oggi è difficile sapere ciò che veramente succede. La verità, insomma, non esiste più, e la direzione che stiamo prendendo è quella del “1984” di Orwell».

  • Lei fa una bellissima affermazione sull’intelligenza artificiale in genere e su ChatGpt in particolare: “Bisogna ricordare alle persone che la Treccani siamo noi”…

«Si, perché alla fine siamo noi quelli che educhiamo ChatGpt, che le immettiamo informazioni. Lei risponde sulla base di quello che le hanno dato perché lo assimilasse. Io penso che se vogliamo mettere questo servizio a disposizione dell’umanità io ( e intendo noi tutti) dovrei essere pagato perché usando ChatGpt  la addestro, e non, al contrario, dover pagare OpenAI per usarla».

Loretta Napoleoni, classe 1955, economista, saggista ed esperta di terrorismo, da anni vive a Londra ed ha un curriculum di tutto rispetto: come economista ha lavorato per diversi anni, per conto della banca nazionale ungherese, ad un progetto di conversione della moneta nazionale (il fiorino) nelle valute europee allora vigenti. Come esperta di terrorismo nel 2005 ha partecipato alla Conferenza internazionale sul terrorismo promossa dal Club di Madrid, e successivamente ha collaborato con alcune forze di sicurezza, come l’Homeland Security degli Stati Uniti, l’International Institute for Counter-Terrorism in Israele, la polizia catalana. Ha collaborato e collabora con numerose testate italiane e straniere tra le quali Il Fatto Quotidiano, Wired, Vanity Fair, Il Caffè.

È nota anche come “La Gigia”, e su questo pseudonimo Loretta Napoleoni ci racconta una storia divertente: «Questo nomignolo lo devo ai 5Stelle, che quando vinsero le elezioni presero alcuni miei libri come “manifesto”, diventando mio malgrado una degli economisti di riferimento del gruppo. Questo nome me l’ha appioppato l’opposizione di allora, che mi chiamava pure “Liretta” perché io ero decisamente contro l’Euro. E con una valida motivazione: lei ricorda il 2011, quando ci fu la crisi del debito sovrano? Ne parlai anche nel mio libro “Il Contagio”, e sostenevo che era stato l’Euro che ci aveva portati dove poi siamo finiti. In quel periodo io insegnavo alla Cambridge, e con questi nomignoli volevano, se non disprezzare, almeno sminuire la mia figura professionale».