San Paolo sulla via di Damasco

Basta leggere Bibbia e Vangeli per comprendere che noi con questi due personaggi non abbiamo davvero nulla a che fare. Scopriamo gli imbrogli del “menzognero”

Menzognero: così è definito nei manoscritti di Qumran – magistralmente tradotti anche dal compianto professor Luigi Moraldi (edizioni Utet) – un personaggio di cui non si trova mai il nome, ma che per il contesto in cui viene pronunciata l’ingiuria sembra proprio essere quello che noi conosciamo come San Paolo.
Negli scorsi appuntamenti abbiamo visto che Qumran, sede degli esseni, è anche secondo papa Benedetto XVI il posto dove il Gesù storico si sarebbe formato spiritualmente nel periodo in cui di lui non si sa nulla dai vangeli.

Ma chi è in realtà san Paolo e perché nei manoscritti di Qumran lo si apostrofa come menzognero?

Nelle biografie apologetiche (cioè quelle che, prendendo a prestito la definizione del vocabolario Treccani, tendono “alla difesa o all’esaltazione” di qualcuno o qualcosa) ci viene detto che è un ebreo ellenizzato che godeva della cittadinanza romana.
Sarebbe stato tra i primi avversari della neonata Chiesa Cristiana, e poi convertito egli stesso al cristianesimo dal celebre episodio avvenuto sulla via di Damasco. Episodio che però racconta solo lui e che non ha avuto alcun testimone attendibile! E tra l’altro, in quel tempo nella terra di Israele esisteva solo una comunità dei seguaci di Giosuè, rabbi messianista, che con il Cristo Salvatore descritto da Paolo c’entra come un cavolo a merenda. Ad ogni modo, stando al racconto, da quel momento Saulo (così si chiamava in origine) divenne Paolo (da Paulus, ovvero “piccolo”).
In proposito, più studiosi malignano su cosa di piccolo realmente avesse, visto che nella prima lettera ai Corinzi, capitolo 7, ci dice: “Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna“, e più avanti, “Vorrei che tutti fossero come me… Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io“.
Paolo divenne dunque, per diretta richiesta di Cristo, apostolo dei gentili, ovvero dei pagani non ebrei, mentre, come lui stesso dice, ai 12 sarebbe rimasta la predicazione ai circoncisi (agli ebrei).
Ma lo stesso Gesù nei vangeli ci dice diversamente! In Matteo 10, leggiamo “Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele»”, e sempre in Matteo, capitolo 15, quando una donna cananea gli chiede di liberare la figlia dai demoni, egli risponde: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele».San Pietro e San Paolo
La casa di Israele è quella, per esser chiari, che è composta dai discendenti diretti di Giacobbe in seguito chiamato Israele. Niente mondo esterno, niente Roma, e niente a che fare con noi, dunque. Sul concetto della casa di Israele torneremo tra pochissimo.

Veniamo alle pretese di Paolo:

a suo dire Gesù, sulla strada di Damasco, lo avrebbe contattato per dirgli: «Guarda, ci ho ripensato, voglio che la mia parola arrivi anche al mondo intero. Ma siccome mi sono affidato a una manica di idioti, perché tali sono i 12 che avevo nominato apostoli, pensaci tu che sei migliore di loro».
Dimenticate, a proposito, l’affettuosa amicizia tra Pietro e Paolo di cui vi parla la Chiesa cattolica, che in realtà aveva bisogno di una coppia per sostituire i Dioscuri, Romolo e Remo e via dicendo! Basta leggere quel che negli atti degli apostoli a proposito del “Concilio di Gerusalemme” e la seconda lettera ai Galati per capire che i due non si sopportavano ed anzi, sarebbero venuti alle mani ad Antiochia.
Paolo ha – come ormai riconosciuto da tantissimi studiosi cattolici e non – inventato il cristianesimo presentando il suo prodotto solo fuori dal territorio di Israele ed attingendo, per completare il personaggio, da vari miti del tempo. Diversamente infatti a nessuno avrebbe destato interesse un rabbi messianista crocifisso per ribellione ai romani. Ciliegine sulla torta la prima versione (poi perfezionata da Sant’Agostino) della salvezza dal peccato originale da conseguire con la fede in Cristo e la parentela di Gesù con Yahweh per darsi una storia plurisecolare.

Avevamo promesso di tornare sul concetto della casa di Israele:

Deuteronomio 32, 9-12 recita: “Quando l’Altissimo (Elyon) divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell’uomo, egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli Israeliti. Perché porzione del Signore (di Yahweh) è il suo popolo, Giacobbe è sua eredità. … Il Signore (Yahweh) lo guidò da solo, non c’era con lui alcun dio straniero“.
Anche la Bibbia, dunque, dice chiaramente che Yahweh è la guida degli Israeliti, ovvero degli eredi di Giacobbe, escludendo da questo patto finanche il fratello gemello di Giacobbe Esaù, affidato ad un altro heloim, così come ad altri sono affidati nipoti e fratelli di Abramo, anche lui stesso fuori dal patto con Yahweh.
E siccome noi con gli Israeliti non abbiamo nulla a che dividere, ne consegue che quello che i cristiani chiamano Dio e il suo (molto) presunto figlio non hanno esattamente nulla a che fare con noi.

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione