Caso Orlandi, la pista più temuta riemerge dopo 40 anni: perquisita la casa dello zio | Cosa hanno trovato davvero

Caso Orlandi, la pista più temuta riemerge dopo 40 anni: perquisita la casa dello zio | Cosa hanno trovato davvero

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Un nuovo capitolo ribalta l’indagine: la Procura conferma, “non è l’unica ipotesi”, e il mistero si infittisce ancora

Il caso Orlandi non smette di generare scosse, nemmeno dopo più di quarant’anni. La scomparsa di Emanuela, avvenuta il 22 giugno 1983, è tornata nelle ultime ore al centro dell’attenzione con una svolta che nessuno si aspettava, una di quelle che costringono a riaprire pagine archiviate e a riconsiderare ruoli familiari rimasti sempre sullo sfondo.
Secondo quanto riportato da La Repubblica, nell’aprile del 2024 gli inquirenti coordinati dal pm Stefano Luciani hanno eseguito una perquisizione nella villetta di Torano, in provincia di Rieti, appartenuta a Mario Meneguzzi, zio di Emanuela, morto anni fa. Un nome noto alla storia, ma ora tornato nelle carte come possibile ipotesi investigativa, anche se – come sottolinea la Procura – non è l’unica al vaglio.

Perché il nome dello zio riappare nelle carte e qual è il ruolo che si vuole chiarire

Il coinvolgimento di Mario Meneguzzi non è un ritorno casuale. Negli anni immediatamente successivi alla sparizione, fu lui a interfacciarsi spesso con i sedicenti rapitori che telefonavano alla famiglia Orlandi. Messaggi criptici, richieste prive di fondamento, conversazioni che non portarono mai a prove concrete della presenza in vita della ragazza: un labirinto che ha sempre lasciato più dubbi che risposte.
È proprio quell’intreccio di contatti, relazioni e informazioni da verificare che ha spinto gli investigatori a tornare nella villetta di Torano, eseguendo un sopralluogo mirato alla ricerca di elementi che potessero chiarire il ruolo dello zio in quelle fasi delicate. Non è stato comunicato se la perquisizione abbia prodotto riscontri utili, ma il semplice fatto che il suo nome compaia in un decreto ufficiale segna una svolta significativa.

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Un’indagine che non si ferma: la Procura conferma che esistono altre piste ancora aperte

Il nome di Meneguzzi non spunta dal nulla: era già affiorato due anni e mezzo fa, quando un carteggio vaticano parlava di presunte “molestie” nei confronti di Natalina Orlandi, sorella di Emanuela, sebbene la stessa Natalina avesse poi ridimensionato l’episodio definendolo più un comportamento ambiguo che una vera molestia.
Oggi, la perquisizione aggiunge un tassello nuovo a un quadro che la Procura continua a descrivere come ampio e complesso. Gli inquirenti ribadiscono infatti che non esiste una sola pista e che l’ipotesi Meneguzzi si sviluppa parallelamente ad altre linee investigative: depistaggi storici, scenari criminali mai chiariti, collegamenti internazionali, testimonianze rimaste sospese per decenni.
A oltre quarant’anni dalla scomparsa, il mosaico sembra ancora lontano dall’essere completato. E ogni nuovo movimento degli inquirenti conferma che il caso Orlandi non appartiene al passato: continua a parlare, a mutare, a riaprirsi. E soprattutto, continua a chiedere una verità che nessuno ha ancora avuto il coraggio – o la possibilità – di raccontare fino in fondo.