Leggende Noceranesi: L’astuzia di una donna contro Lucifero

Un’antica fiaba nocerina, riscoperta dalla ricercatrice Anna De Rosa, narra della scaltrezza di una donna contro il demonio. I racconti popolari, tramandati oralmente di generazione in generazione, sono stati per secoli un veicolo di insegnamenti morali e di saggezza popolare, trasmettendo precetti di vita e strategie per affrontare le avversità. Questa storia, in particolare, illustra il modo in cui si può contrastare l’inganno e la malvagità. C’era una volta a Nocera una donna dal cuore non malvagio, ma con una lingua sciolta e un’inclinazione a seminare zizzania. Il marito, un carrettiere, partiva ogni lunedì per la Puglia e tornava esausto il sabato sera. Al suo ritorno, la moglie scatenava liti con le altre donne del villaggio, accusandole di ogni sorta di maleficio e falsità. Il pover’uomo, esasperato, cercava invano di riportare la pace, ma la moglie, con aria di sfida, negava ogni accusa.
Un lunedì, prima di partire, il marito, esasperato, diede alla moglie un sacco di lana, ordinandole di filarla entro il suo ritorno: un’impresa impossibile nei pochi giorni a disposizione. La donna, disperata, invocò l’aiuto del demonio per risolvere la sua situazione. In quel preciso istante, bussò alla porta un elegante signore in nero, con una lunga barba appuntita e occhi neri penetranti: era Lucifero. La donna, senza perdere il coraggio, gli espose il suo problema, e il demonio le propose di filare la lana in cambio della sua anima. Ma la donna, astuta, contrattò: il diavolo avrebbe filato la lana per un anno, e solo dopo avrebbe preteso la sua anima, a patto però che lei non indovinasse il suo nome. Il demonio, fiducioso nella sua apparente invulnerabilità, accettò.
Così, il diavolo si mise al lavoro, e la donna, per tutto l’anno, si dedicò a carpire informazioni sul suo nome, interrogando le persone del villaggio. Nel frattempo, continuava a seminare discordia tra le donne, aumentando le sue maldicenze. Il sabato, il demonio consegnava la lana filata, e la donna, senza pensieri, aspettava il marito. Quest’ultimo, al suo ritorno, trovava la moglie che si lamentava per la fatica, rimproverando le altre donne che la criticavano. La situazione si ripeteva ogni settimana. Ma la donna iniziava a preoccuparsi: il tempo stringeva.
Un giorno, una donna del villaggio si ammalò gravemente, e nessuno riusciva a curarla. Un guaritore affermò che l’unica cura era l’acqua di una fonte sacra nel bosco vicino, un luogo infestato da pericoli soprannaturali. La donna, pur spaventata, decise di avventurarsi nel bosco per salvare la malata. Tra le ombre, sentì una voce che cantava. Nascondendosi, vide il diavolo seduto su un albero, che filava la lana e cantava il suo nome: “Essa che ne sape che me chiamo Angelantonio?”. La donna, ricordato il nome, tornò indietro, raccolse l’acqua e curò la malata.
Quando giunse la fine dell’anno, il diavolo tornò per riscuotere il debito. Ma la donna, fingendo incertezza, gli chiese di dirle il suo nome dalla soglia della porta. Il demonio, fiducioso, si sporse, e la donna, gridando “Signò, vuje ve chiammate Angelantonio!”, gli sbatté la porta in faccia. Il diavolo, infuriato, lasciò l’impronta delle sue cinque dita bruciate sulla porta e se ne andò sconfitto. Da quel giorno, la donna, pur mantenendo la sua parlantina vivace, smise di seminare discordia, dimostrando che anche le persone più scaltre possono cambiare. Non tutti i mali vengono per Nocera.