L’amore e il matrimonio a Nocera tra Ottocento e Novecento

Un caffè, amaro o dolce, spesso decideva il destino di un corteggiamento a Nocera, tra fine Ottocento e inizio Novecento. Signora Antonietta, testimone di queste usanze, ci ha descritto il rituale nuziale dell’epoca. L’incontro iniziale tra innamorati era spesso fortuito: sguardi rubati per strada, dinanzi alla chiesa, o messaggi trasmessi da amiche comuni. Le serenate notturne, con melodie come “Mmiez’o grano” o “furastera”, segnavano l’approvazione o il rifiuto della corteggiatrice. Se l’amore era ricambiato, il pretendente si presentava ai genitori, con referenze e l’aiuto di parenti o amiche, per dichiarare le sue intenzioni. Una volta ottenuta l’approvazione, si definiva il contratto matrimoniale, con spese a carico dello sposo (abitazione e mobilio) e della sposa (corredo, spesso preparato fin dall’adolescenza, e dote, se presente). Un corredo ricco presagiva un buon matrimonio. Talvolta, famiglie e sensali si accordavano per unioni combinate. Tra la piccola borghesia era comune una dichiarazione d’amore scritta, seguendo modelli di “lettere galanti”. Dopo il fidanzamento, gli incontri avvenivano sotto lo sguardo vigile di una figura di accompagnamento, “chi teneva ‘a cannela”. La cerimonia nuziale, solitamente un pomeriggio domenicale, era semplice. Al posto delle bomboniere, un fazzoletto con confetti e dolci venivano distribuiti giorni prima. La funzione religiosa si svolgeva nella parrocchia del quartiere o, per famiglie influenti, nella cappella di famiglia. Niente sfarzo, abiti sobri per gli invitati. Dopo la cerimonia, presso la casa degli sposi, la suocera rompeva un piatto contenente confetti, grano e fiori, augurando la prosperità (“Puozz’esse l’aurio d”a casa ro’ figlio mio!”, “Puozz’esse l’aurio ra’ casa mia!”). La rottura del piatto simboleggiava la separazione dalle vecchie abitudini. La notte di nozze era costellata da rituali scaramantici: una falce, un coltello o delle forbici sotto il materasso per scongiurare il malocchio e favorire la nascita di un maschio; un pannolino sotto il cuscino per raccogliere la prova della verginità della sposa. La sposa trascorreva otto giorni (“‘otto juorne r’a’ zita”) in casa prima della sua prima uscita pubblica, per visite a parenti e suoceri.