Un’Europa Unita: Un Sogno Distante?

L’attuale situazione economica italiana, caratterizzata da una stagnante crescita e da un elevato debito pubblico, solleva serie preoccupazioni a livello europeo. Bruxelles osserva con attenzione gli indicatori economici, in particolare il divario di produzione, che evidenzia l’incongruenza tra la situazione dei conti pubblici e il potenziale produttivo dell’economia, al netto dei fattori ciclici e delle misure di bilancio temporanee. Il considerevole onere degli interessi sul debito pubblico italiano (circa 80 miliardi di euro annui) rappresenta un ostacolo significativo alla crescita. Una soluzione potrebbe consistere nell’affrontare il problema del debito sovrano in eccesso rispetto al 60% del PIL – soglia indicata dall’Unione Europea – trasferendo tale quota alla BCE. Questa misura straordinaria, applicata ai Paesi membri con un rapporto debito/PIL superiore al 60%, dovrebbe essere accompagnata dalla nomina di un Ministro delle Finanze europeo, dotato di una visione d’insieme e di poteri decisionali sulle politiche fiscali e di spesa comunitarie. Questo Ministro, in coordinamento con il Parlamento europeo, potrebbe emettere Eurobond per finanziare investimenti nelle aree ad alta disoccupazione e con scarse infrastrutture produttive. Solo così si potrà valutare la reale volontà di compiere un salto di qualità verso gli “Stati Uniti d’Europa”. L’impatto della Brexit (uscita del Regno Unito dall’UE) potrebbe fungere da catalizzatore per una ristrutturazione del progetto europeo, ancora incompleto. Italia, Grecia e Portogallo faticano a raggiungere l’obiettivo del 60% di rapporto debito/PIL stabilito dal Trattato di Maastricht (1992), con l’Italia che registra un rapporto debito pubblico/PIL del 132,5% (2.190 miliardi di euro su un PIL nazionale). Per ridurre questo rapporto al 60%, sarebbe necessario un intervento massiccio, per esempio attraverso il rimborso da parte della BCE di circa mille miliardi di euro in titoli di Stato. Questo intervento straordinario comporterebbe un maggiore coinvolgimento delle istituzioni comunitarie nella definizione delle politiche economiche nazionali e, se necessario, nella gestione diretta dell’amministrazione e della normativa degli Stati beneficiari.