L’ubiquità del termine “Minchia” nel lessico siciliano
Un viaggio in Sicilia, che sia un breve soggiorno o una vacanza più lunga, vi introdurrà rapidamente a un vocabolo che permea il linguaggio locale: “minchia”. Dall’arrivo alla partenza, questa parola, derivata dal latino volgare “mentula” (e con radici più antiche, nell’indoeuropeo “men”, indicante una protuberanza), vi accompagnerà costantemente. Alcune etimologie la collegano al verbo “mingere”, altre al dio egizio dell’amore Min, rappresentato con un fallo prominente. In ambito marino, il termine designa anche l’oloturia o la lepre di mare. Ma la sua versatilità è sorprendente. Inserita tra sillabe, funge da intercalare, equivalente a un punto esclamativo o a espressioni come “cioè”. Il suo significato varia enormemente a seconda del contesto: può esprimere gioia, stupore, approvazione, ammirazione, ma anche disappunto, disgusto, rabbia o paura. Forme abbreviate come “Miii…” mantengono il significato originale, mentre “Mizzica” offre un’alternativa più “raffinata”. Da “minchia” derivano numerosi termini, come “minchiata” (sciocchezza), “minchione” (persona sciocca), “Sta minchia” (rafforzativo), “A Minchia” (azione maldestra), o “Coppola di minchia” (nulla assoluto). Per navigare meglio nel parlato siciliano, ecco alcuni esempi di utilizzo: “Chi minchia ni sacciu?” (Non ne ho idea), “chi minchia minni futti?” (Chi se ne importa?), “Minchia!!!” (Che dramma!), “Minchia però” (Incredibile!), “Chi minchia ti passa pa testa?” (Cosa ti passa per la testa?), “Chi minchia cumminasturu?” (Non siete stati capaci?), “Grazie a sta minchia” (Grazie a niente), “Arrivò sta minchia” (Arriva così, inaspettatamente), “Cu minchia è?” (Chi è costui?), “Chi minchia tinni futti ri l’autri?” (Perché ti interessi degli altri?), “Chi minchia voi?” (Cosa vuoi?), “Ci stai scassannu a minchia” (Sei fastidioso). Questi esempi illustrano la ricchezza e la complessità di questo termine, che va ben oltre la sua accezione letterale.