L’eredità di Carlo Vichi: dalla radio a valvole all’alba degli schermi piatti

L’eredità di Carlo Vichi: dalla radio a valvole all’alba degli schermi piatti

Carlo Vichi, figura di spicco dell’imprenditoria italiana, si è spento all’età di 98 anni. Fondatore della Mivar, l’ultima azienda italiana produttrice di televisori “made in Italy”, Vichi ha lasciato un’impronta indelebile sul panorama tecnologico nazionale. Dagli anni ’60 al ’90, un apparecchio Mivar era presente nella quasi totalità delle case italiane, testimonianza di un’epoca d’oro per l’azienda di Abbiategrasso. La sua avventura imprenditoriale ebbe inizio nel 1945, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con la “Vichi Apparecchi Radio” (VAR), specializzata in radio a valvole. Nel 1963, l’azienda si trasformò in Mivar, diventando rapidamente il principale produttore di televisori in Italia, con un organico di circa mille dipendenti. Il successo fu alimentato dal basso costo dei prodotti, rendendoli accessibili a tutte le famiglie. La supremazia di Mivar, che nel 1998 produsse quasi un milione di apparecchi, sfidando la crescente concorrenza giapponese e sudcoreana, si interruppe con l’avvento degli schermi piatti. L’innovazione tecnologica, unita alla delocalizzazione produttiva delle grandi aziende, segnò l’inizio del declino, culminato nella cassa integrazione di 400 dipendenti e nella definitiva chiusura della produzione nel 2013, dopo un ultimo tentativo con un modello Smart TV rimasto un progetto incompiuto. Nel 2001, Vichi inaugurò la sua “Fabbrica ideale”, uno stabilimento di 120.000 metri quadrati, progettato personalmente. Questo evento, però, causò tensioni con le organizzazioni sindacali, contribuendo, insieme ad alcune controverse posizioni politiche, a offuscare parzialmente la sua immagine pubblica. Uomo dedito al lavoro, Vichi aveva affermato che avrebbe cessato la sua attività solo “dopo la morte”. Sposato nel 1944 con Annamaria Fabbri, ebbe quattro figli: Luisa, Maria, Valeria e Girolamo. Il suo ultimo desiderio fu quello di un funerale privo di rappresentanze istituzionali, all’interno della fabbrica che rappresenta la sua più grande opera.