Ricordando il Disastro del 23 Novembre

Trentotto anni fa, la Campania e la Basilicata furono devastate da un evento catastrofico che causò immani sofferenze e perdite. Chiudendo gli occhi, riaffiorano immagini vivide e agghiaccianti: abitazioni distrutte, corpi martoriati, lamenti soffocati nel silenzio della morte. Cumuli di macerie si trasformarono in tombe improvvisate, con braccia incrociate sul petto e mani contorte, in un paesaggio privato di ogni barlume di vita. L’aria era satura di un odore nauseabondo, un mix di polvere e sangue, un’esalazione acre e bruciata che si insinuava nella pelle dei sopravvissuti, marchiandoli per sempre. Questi testimoni silenti, costretti a vagare tra i resti ancora caldi, provarono una sofferenza indicibile, un dolore straziante che lacerava l’anima, un gelo che penetrava fino al midollo.
I rumori di quel giorno rimbombano ancora: gemiti di agonia che si levavano dalle profondità della terra, boati assordanti che scuotevano palazzi, case antiche e chiese millenarie. L’urlo disperato dell’umanità colpita, la terra lacerata e sconvolta, campanili crollati, silenzio delle campane attutito dallo strepito dello schianto. La terra, con suoni cupi e ossessivi, ruppe il suo silenzio, liberando una musica infernale, mentre gli uccelli fuggivano a gran velocità da rami spezzati.
Ricordo ancora la fretta disperata di scavare a mani nude, le mani sanguinanti che cercavano di riportare in vita qualcuno, scavando tra i resti delle case, tra oggetti di uso quotidiano dispersi: quadri, quaderni, lampade, giocattoli, lacerti di vita quotidiana sospesi nel vuoto, testimonianza muta di ciò che era stato.
Nulla di quel giorno è dimenticato. Ancora oggi, mi domando: quale colore aveva il cielo quel 23 Novembre? Ricordi anche tu? Era rosso fuoco, come un vulcano in eruzione, un cielo feroce come mai avevo visto prima. E le stelle? Erano ancora visibili? O inghiottite dall’inferno che incendiò il cielo?