Sempio si difende sul DNA: “può essere che 500 anni fa, un parente lontano…” | Si batte sulla linea indiretta
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Andrea Sempio punta tutto sulla “linea paterna”: l’aplotipo Y non sarebbe la prova di un legame diretto con il delitto.
Nel nuovo capitolo del caso Garlasco, Andrea Sempio torna a parlare della questione più delicata: il Dna e, in particolare, l’aplotipo Y rinvenuto sulle unghie di Chiara Poggi. Il 37enne, coinvolto nelle nuove attenzioni investigative, prova a mettere ordine in un tema che, fuori dai laboratori, rischia di trasformarsi in un’etichetta immediata. La sua difesa, infatti, ruota attorno a un concetto preciso: non si tratta di “parentela diretta” così come la intendono in molti.
Il punto, nel suo racconto, è che il riferimento alla “linea paterna” fa scattare automaticamente collegamenti a padre, nonno, fratelli, come se l’indizio puntasse a una cerchia ristretta e attuale. Sempio, invece, insiste su un’altra lettura: quella della linea patrilineare, un tracciato genetico che può risalire molto indietro nel tempo e che, proprio per questo, non garantirebbe affatto un collegamento diretto con lui oggi.
La parola “paterna” che confonde tutti: cosa intende davvero Sempio
Secondo quanto riportato da il Giornale, Sempio ha commentato in tv gli esiti della perizia dell’esperta Denise Albani sul Dna, dicendo di non esserne sorpreso e di essersi tolto “un peso dalle spalle”, ma lamentando anche interpretazioni mediatiche “tirate per i capelli”. È dentro questa cornice che spiega la sua linea: l’aplotipo Y, per come lo descrive, riguarda un’eredità genetica che può essere condivisa da più persone e non coincide automaticamente con un rapporto stretto e contemporaneo.
Il passaggio chiave è quello che sembra quasi un paradosso, ma che lui usa per rendere l’idea: “Può anche essere che 500 anni fa, quando si è creata la linea familiare che oggi è portato ai Sempio, in giro in Italia ci siano altre persone che condividono questa cosa e che oggi non siano imparentati con me”.
Secondo la sua ipotesi, potrebbe essere che si sia originata una linea familiare e che oggi, in giro, ci siano individui che la condividono senza essere imparentati in modo diretto con lui. In altre parole, la sua difesa non nega il dato genetico in sé, ma contesta l’interpretazione immediata: per Sempio, il fatto che quel profilo sia compatibile con la sua via patrilineare non basterebbe a trasformarlo nel “parente giusto” del presente.

Il nodo vero: come finisce quel Dna sulle unghie di Chiara Poggi
Sempio aggiunge che la questione centrale diventa capire come e perché quel Dna sia arrivato sulle unghie della vittima. Racconta di aver ripercorso, insieme ai consulenti, i suoi movimenti dentro casa Poggi, ricordando le stanze in cui passava il tempo con l’amico Marco Poggi e parlando di altri punti ricostruiti. Sull’ultima visita, colloca un incontro certo al 4 agosto, ma ammette di non ricordare con precisione se quel giorno fosse entrato in casa o meno, dicendo che potrebbe essere successo prima di uscire o nei giorni immediatamente precedenti.
Nel frattempo, il 37enne dice di temere una deriva fuori dall’aula: “creare un mostro” sul piano mediatico, soprattutto se dovessero mancare appigli forti su cui attaccarlo. Cita anche fotografie scattate in via Pascoli il giorno dell’omicidio, dove compare con il padre, sostenendo che non ci sarebbe nulla di anomalo perché aveva già indicato di essersi recato lì a un certo orario, ma aggiungendo che pure quel dato potrebbe essere “rigirato in negativo”. E spiega che la scelta di non sottoporsi a un nuovo interrogatorio rientra in una strategia difensiva concordata con i legali.
