“È solo la punta dell’iceberg”: l’allarme di Pregliasco sul nuovo virus | “Segnali che non possiamo ignorare
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La notizia è di quelle che fanno gelare il sangue: negli Stati Uniti è stato confermato il primo caso umano al mondo di influenza aviaria H5N5. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha certificato il contagio in un paziente adulto residente nello Stato di Washington, morto in ospedale nel mese di novembre. Un evento raro, ma sufficiente a rimettere al centro la questione dei virus aviari che “saltano” dall’animale all’uomo e, soprattutto, a sollevare interrogativi su quanto stia cambiando nel comportamento di questi agenti patogeni.
Il paziente, affetto da patologie pregresse, si sarebbe infettato con ogni probabilità a contatto con il pollame domestico, in un contesto in cui negli Stati Uniti circolano già numerosi focolai aviari. Le autorità sanitarie hanno chiarito che non sono stati registrati altri casi tra i contatti stretti e che, al momento, non esistono evidenze di trasmissione da uomo a uomo. Un dato importante, che ridimensiona la paura immediata ma non cancella il valore di questo episodio come segnale da osservare con estrema attenzione.
La gravità del decorso, spiegano gli esperti, è legata soprattutto alla fragilità clinica del paziente, ma il caso resta comunque un punto di svolta nella storia di questo ceppo. Ed è su questo aspetto che interviene il virologo Fabrizio Pregliasco, con parole che non lasciano indifferenti: per lui, quanto accaduto è “la punta di un iceberg che inquieta”.
Il primo caso umano di H5N5 e l’allarme di Pregliasco: “Si sta adattando all’uomo”
La valutazione scientifica parte da un dato: finora il virus H5N5 è stato considerato un ceppo tipicamente aviario, meno noto rispetto ad altri come l’H5N1. Eppure, negli ultimi mesi, diverse segnalazioni hanno evidenziato un aumento della sua diffusione in aree con forti concentrazioni di pollame, soprattutto negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, sono stati documentati salti di specie nei mammiferi, con episodi in mucche e perfino in animali da compagnia.
È questo intreccio di elementi a preoccupare Pregliasco. Il virologo, direttore della Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina preventiva dell’Università Statale di Milano, sottolinea come alcuni virus aviari stiano mostrando segnali di adattamento all’uomo. Il caso di Washington, precisa, non va letto come l’inizio di una nuova pandemia, ma come un evento spia che indica la necessità di non abbassare la guardia. Il rischio di contagio per la popolazione generale resta basso, spiegano gli organismi internazionali, ma il fatto che il virus sia riuscito a infettare un essere umano e a provocarne la morte, pur in presenza di condizioni di salute compromesse, non può essere liquidato come un semplice episodio isolato.
Le parole di Pregliasco si affiancano a quelle di altri esperti. Calogero Terregino, del Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria dell’Izsve, ricorda che l’H5N5 non presenta, allo stato attuale, caratteristiche genetiche tali da renderlo più aggressivo rispetto ad altri ceppi aviari in circolazione. Rimane, a oggi, un virus poco adatto ai mammiferi, con un rischio principalmente concentrato su chi entra in contatto diretto con animali infetti. Ma proprio questa apparente “specializzazione” non basta a cancellare le preoccupazioni: la storia delle zoonosi insegna che i processi di adattamento possono essere graduali e, spesso, silenziosi.
L’OMS e le principali istituzioni sanitarie internazionali ribadiscono che non ci sono al momento segnali di una trasmissibilità interumana di H5N5. Nessun focolaio tra persone, nessuna catena di contagi umani, nessuna evidenza di un virus già “pronto” a circolare tra gli individui. Eppure, proprio per Pregliasco, questo è esattamente il momento in cui bisogna investire nella sorveglianza, perché l’errore più grande sarebbe sottovalutare un segnale iniziale solo perché ancora circoscritto.

Rischio per la popolazione, sorveglianza e prevenzione: cosa significa questo caso per noi
Il messaggio di fondo degli esperti è duplice: da un lato, rassicurare la popolazione sul fatto che il rischio di contagio nella vita quotidiana resta basso; dall’altro, ricordare che eventi come questo non vanno dimenticati dopo pochi giorni di cronaca. Le persone più esposte sono, oggi, coloro che lavorano o vivono a stretto contatto con pollame domestico o selvatico e con altri animali potenzialmente infetti. Per loro, l’uso di dispositivi di protezione, la corretta gestione degli allevamenti e il tempestivo isolamento degli animali malati sono strumenti decisivi per prevenire ulteriori casi.
La “lezione” del primo caso umano di H5N5 è chiara: la sorveglianza attiva sui virus zoonotici non è un esercizio teorico, ma una necessità concreta di sanità pubblica. Monitorare i focolai negli animali, analizzare le eventuali mutazioni, studiare i salti di specie e intervenire subito in presenza di segnali anomali significa ridurre il rischio che un evento raro si trasformi in qualcosa di ben più grave. Pregliasco insiste proprio su questo punto, avvertendo che un calo di attenzione, come quello che si starebbe registrando in alcune aree degli Stati Uniti, è un rischio evitabile e potenzialmente pericoloso.
Prevedere una nuova pandemia, sottolinea il virologo, è impossibile. Nessun modello può indicare con certezza quando e se un virus aviario come l’H5N5 acquisirà la capacità di trasmettersi facilmente tra esseri umani. Ciò che si può fare, però, è mantenere un monitoraggio costante dei contatti tra specie, studiare con rigore ogni mutazione sospetta e potenziare i piani di risposta rapida nel caso emergano segnali di trasmissione interumana.
Il caso del paziente di Washington, pur circoscritto, diventa così un campanello d’allarme globale. Non perché sia già in corso un’emergenza, ma perché ricorda quanto sia sottile il confine tra il mondo animale e quello umano quando si parla di virus respiratori. Rafforzare la collaborazione tra servizi veterinari, strutture ospedaliere e istituzioni internazionali, investire nella ricerca e nelle reti di sorveglianza significa provare a giocare d’anticipo, invece di rincorrere gli eventi.
Per il cittadino comune, il messaggio resta duplice: niente panico, ma nessuna leggerezza. Il rischio di contagio oggi è basso, ma la sicurezza di domani dipende anche dalla capacità del sistema sanitario globale di non ignorare quei “segnali che non possiamo permetterci di ignorare”, come li definisce Pregliasco. E il primo caso umano di H5N5 è, a tutti gli effetti, uno di questi.
