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La compatibilità genetica su Chiara Poggi scatena domande mai affrontate prima e mette Stasi e Sempio al centro di un nuovo vortice giudiziario
Il caso Garlasco torna a incendiare il dibattito nazionale con una violenza che non si vedeva da anni. La nuova perizia genetica depositata da Denise Albani ha infatti aperto scenari che fino a ieri sembravano impensabili, riportando al centro dell’inchiesta i due nomi che più hanno segnato questa vicenda: Andrea Sempio e Alberto Stasi. Domande che nessuno aveva mai osato formulare esplicitamente – come la possibilità che i due fossero presenti insieme nella villetta di via Pascoli – oggi tornano a circolare, alimentate da un dato scientifico che sta riscrivendo le certezze acquisite in diciotto anni.
La vittima, Chiara Poggi, viene uccisa nella sua abitazione il 13 agosto 2007. Per quel delitto è stato condannato in via definitiva il fidanzato, Alberto Stasi. Ma negli anni, accanto alla figura dell’allora studente bocconiano, è sempre rimasto un nome scomodo: quello di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, indagato nel 2017 e nuovamente finito al centro dell’attenzione oggi.
La relazione consegnata nei giorni scorsi dalla genetista Denise Albani rappresenta il primo giudizio tecnico totalmente indipendente sulla traccia rinvenuta sotto le unghie della vittima. Ed è lì che si trova la vera esplosione investigativa: su due campioni diversi, il profilo genetico Y è compatibile in modo “forte” e “moderato” con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che, secondo la perita, non può essere attribuito ad altre persone analizzate, incluso Alberto Stasi.
In altre parole, per la prima volta qualcuno certifica che quel Dna appartiene a un soggetto di sesso maschile riconducibile alla famiglia Sempio. La perizia non si limita a dire cosa c’è, ma cosa non c’è: sotto le unghie di Chiara non compare nessuna traccia del fidanzato, oggi unico condannato per l’omicidio. È una distinzione che pesa come un macigno, perché smonta l’idea – più volte sostenuta negli anni – che il reperto fosse troppo degradato per essere interpretato.
L’incidente probatorio ha inoltre passato al setaccio altri elementi mai esaminati con tecniche moderne: impronte rimaste negli anni in attesa di analisi, tracce biologiche, residui nella spazzatura della colazione. Per la prima volta dopo decenni l’indagine riparte su basi scientifiche aggiornate, ma anche su contraddizioni che diventano impossibili da ignorare.
Davanti all’emersione di un dato così solido, la difesa di Andrea Sempio sostiene che la presenza del suo Dna non indica necessariamente un contatto violento o diretto. L’avvocato ribadisce che Sempio frequentava casa Poggi perché amico di Marco, il fratello di Chiara. Sarebbe quindi plausibile, secondo questa tesi, che la giovane abbia toccato un oggetto precedentemente maneggiato da lui, trasferendo così il materiale genetico sotto le unghie. Il Dna, ricordano i legali, può sopravvivere per mesi o anni su superfici non lavate.
Ma proprio su questo punto arriva la posizione più netta della Procura di Pavia: se fosse un semplice trasferimento casuale, perché allora non compare il Dna degli altri membri della famiglia Poggi? Padre, madre e fratello avevano toccato certamente molte più superfici di Sempio. Il fatto che l’unico profilo rilevato sia quello della sua linea paterna, secondo gli inquirenti, indebolisce l’ipotesi di uno scambio accidentale.
Resta invece intatta la scelta della Procura di non avanzare alcuna richiesta di misura cautelare nei confronti di Sempio. Perché, spiegano gli addetti ai lavori, la compatibilità genetica non basta da sola: servono gravi indizi e concrete esigenze cautelari, come rischio di fuga o di inquinamento probatorio. E ad oggi questi requisiti non sussistono.
Ciò non toglie che la domanda che sta scuotendo l’opinione pubblica – e in parte gli stessi investigatori – sia destinata a restare aperta: quella traccia indica davvero la presenza di Sempio sulla scena del delitto? E se
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