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Le nuove regole ridisegnano il quadro delle uscite: cosa cambia davvero e quali categorie potranno lasciare il lavoro già dal primo giorno dell’anno
Il 2026 si apre con un tema che tocca da vicino milioni di lavoratori: chi potrà andare in pensione già da gennaio? Il dibattito sulle nuove regole è stato lungo e spesso confuso, tanto che molti temevano una stretta drastica sulle possibilità di uscita. In realtà il prossimo anno sarà caratterizzato da una situazione intermedia, una sorta di ponte tra il sistema attuale – fatto anche di deroghe e scivoli temporanei – e il grande riassetto previsto dal 2027, quando l’età pensionabile tornerà ad adeguarsi alla speranza di vita.
La legge di Bilancio 2026 conferma infatti un quadro formalmente stabile, ma con un dettaglio non irrilevante: due misure molto utilizzate negli ultimi anni, Quota 103 e Opzione Donna, spariscono dall’elenco delle possibilità. La loro mancata proroga restringe sensibilmente gli spazi di flessibilità, lasciando in campo soltanto gli strumenti strutturali e alcuni canali speciali riservati a categorie specifiche. Ne deriva una fotografia previdenziale più rigida, dove chi può davvero lasciare il lavoro nei primi mesi del 2026 è chi rientra nei requisiti previsti dalle uscite ordinarie o dalle forme ancora attive di anticipo.
Il percorso più lineare resta quello della pensione di vecchiaia. Nel 2026 è confermata l’uscita a 67 anni con almeno 20 anni di contributi, che riguarda quindi i nati nel 1959 e chi, pur avendo un’età superiore, non aveva ancora maturato i contributi richiesti. Per chi ricade interamente nel sistema contributivo – cioè chi non ha versato contributi prima del 1996 – resta valido anche il vincolo dell’importo minimo, che non può essere inferiore all’Assegno sociale.
Restano valide anche le regole dedicate ai lavori gravosi, che permettono l’uscita a 66 anni e 7 mesi con 30 anni di contributi, un’opportunità riservata ai nati entro maggio 1959 e destinata a sparire nel 2027 con l’allineamento ai 67 anni previsti per tutti. Parallelamente resta in vigore la possibilità di accedere alla pensione contributiva a 71 anni con soli 5 anni di contributi post-1995, una soluzione estrema ma essenziale per chi ha carriere frammentate e contributi limitati, come i nati nel 1955 che maturano questo requisito nel corso del 2026.
Continua inoltre a esistere la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità, riservata ai lavoratori dipendenti con almeno l’80% di invalidità. Per gli uomini si applica al compimento dei 61 anni e per le donne a 56 anni, riguardando quindi nel 2026 gli uomini nati nel 1965 e le donne nate nel 1970. Accanto a questa, resta invariata anche la pensione anticipata ordinaria, che permette l’uscita indipendentemente dall’età anagrafica a fronte di 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, coinvolgendo chi ha iniziato a lavorare a inizio anni Ottanta.
Per chi è interamente nel sistema contributivo, rimane attiva la via d’uscita a 64 anni, ma con un paletto economico molto stringente: l’assegno maturato deve raggiungere tre volte l’Assegno sociale, soglia che si abbassa leggermente solo per le lavoratrici con figli. Una regola che sulla carta sarebbe aperta ai nati nel 1962, ma che nella pratica limita fortemente gli accessi per via del requisito economico elevato.
Restano poi in vita due strumenti essenziali per categorie fragili o carriere particolarmente pesanti. Il primo è Quota 41 per i lavoratori precoci, destinata a chi ha lavorato almeno un anno prima dei 19 anni ed è oggi in condizioni tutelate, come caregiver, disoccupati, invalidi sopra il 74% o addetti a mansioni gravose. Il secondo è la formula 97,6 per i lavori usuranti, raggiungibile con almeno 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi, una possibilità che i nati a metà degli anni Sessanta possono cogliere nel 2026.
Non scompare nemmeno l’isopensione, lo strumento che consente l’uscita fino a sette anni prima della pensione ordinaria, ma solo in presenza di specifici accordi aziendali e con costi totalmente a carico del datore di lavoro. Infine resta attiva l’Ape Sociale, che nel 2026 sarà accessibile dai 63 anni e 5 mesi con un montante contributivo che varia dai 30 ai 36 anni a seconda della condizione tutelata, coinvolgendo i lavoratori nati entro luglio 1963.
Il quadro, quindi, è meno flessibile rispetto agli anni precedenti, ma non immobile. Chi rientra nelle regole ancora valide potrà effettivamente lasciare il lavoro già dall’inizio del 2026, mentre per tutti gli altri questo sarà l’anno della preparazione al cambiamento più profondo che arriverà nel 2027.
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