Tasse annullate, il Governo firma la manovra ‘No tax area’ | Chi guadagna poco smette di pagarle
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Nel dibattito sulla Manovra 2026 sta assumendo un ruolo centrale la proposta di ampliare in modo significativo la no tax area, ossia la fascia di reddito sotto la quale non si pagano imposte Irpef. L’iniziativa, portata avanti dal Movimento 5 Stelle insieme ad altre forze di opposizione, punta a sostenere i redditi più bassi e a rafforzare il potere d’acquisto della classe media. Le ipotesi allo studio prevedono un innalzamento della soglia dagli attuali 8.500 euro — fissati come riferimento per lavoratori dipendenti e pensionati — fino a 15.000 o addirittura 20.000 euro, con vantaggi che si estenderebbero in forma decrescente fino ai contribuenti con redditi intorno ai 60.000 euro annui.
L’introduzione di una soglia più ampia rappresenterebbe una delle operazioni fiscali più rilevanti degli ultimi anni, con ricadute dirette su milioni di lavoratori e pensionati. Tuttavia, restano aperti nodi politici e tecnici legati alla copertura finanziaria, alla durata della misura e alla sua effettiva applicabilità in un contesto di risorse limitate. Il confronto parlamentare si preannuncia quindi complesso, poiché il Governo dovrà valutare l’impatto di una misura costosa ma popolare, mentre l’opposizione ne rivendica l’urgenza come risposta alla riduzione del potere d’acquisto.
Come funzionerebbe l’ampliamento e quali categorie ne trarrebbero vantaggio
La proposta presentata prevede di elevare la no tax area fino a 15.000 euro nel triennio 2026-2028, coinvolgendo in prima battuta lavoratori dipendenti e pensionati, mentre resterebbero escluse le partite Iva e i lavoratori autonomi. In termini pratici, ciò significherebbe che chi percepisce un reddito lordo fino a 15.000 euro non sosterrebbe alcun prelievo Irpef, mentre per redditi superiori l’imposta verrebbe calcolata solo sulla parte eccedente.
L’effetto sarebbe tangibile anche per chi guadagna di più. Un contribuente con reddito lordo di 30.000 euro, ad esempio, oggi paga l’imposta su circa 21.500 euro, mentre con la soglia a 15.000 euro la tassazione ricadrebbe solo sui restanti 15.000 euro, generando un alleggerimento significativo. Gli effetti positivi si ridurrebbero progressivamente fino a scomparire per i redditi oltre i 60.000 euro, fascia nella quale la misura non produrrebbe più alcun beneficio.
Resta però rilevante il costo della proposta, stimato in circa 4 miliardi di euro l’anno, per un totale di 12 miliardi nel triennio di applicazione. Le coperture ipotizzate includono tagli alla spesa non essenziale, razionalizzazioni e un rafforzamento delle attività di recupero dell’evasione fiscale. Si tratta di elementi che potrebbero incontrare resistenze politiche e tecniche, soprattutto considerando i vincoli di bilancio imposti dalle regole europee.

Sfide politiche, sostenibilità economica e possibili sviluppi
La misura, pur godendo di un ampio consenso di principio, deve superare vari ostacoli. Il primo riguarda la sua durata, poiché l’emendamento la limita a un periodo sperimentale di tre anni, rendendo incerto lo scenario successivo per lavoratori e pensionati. Il secondo concerne la scelta delle categorie beneficiarie: l’esclusione dei lavoratori autonomi rischia di generare disparità e di alimentare nuove rivendicazioni politiche.
A livello parlamentare, l’emendamento dovrà affrontare il confronto con la maggioranza e con il Governo, che sono chiamati a valutare se la misura possa conciliarsi con i saldi di bilancio e con le priorità della manovra. L’esito non è scontato: la proposta è popolare presso l’opinione pubblica, ma richiede risorse consistenti e un compromesso tra equità sociale e sostenibilità economica. Le prossime settimane saranno decisive per capire se l’aumento della no tax area diventerà realtà o se resterà uno degli emendamenti simbolo del confronto politico attorno alla Legge di Bilancio.
