Università italiane, se ti laurei qui non trovi lavoro neanche come spazzino | La carta igienica vale di più

Università italiane, se ti laurei qui non trovi lavoro neanche come spazzino | La carta igienica vale di più

Netturbino (pexels) risorgimentonocerino.it

Incredibile ma vero: adesso non contano più niente la dedizione e lo studio, tutto dipende da dove ti laurei.

Il sistema universitario italiano è spesso descritto come un fiore all’occhiello, un baluardo della conoscenza pubblica accessibile a tutti. Eppure, dietro la retorica della meritocrazia, si nasconde una realtà ben più amara. Per decenni, ci è stato insegnato che studiare, laurearsi e accumulare titoli fosse la chiave per un futuro migliore.

Il percorso accademico è stato trasformato in una corsa a ostacoli, in cui ogni tappa, triennale, magistrale, master, viene vissuta come un dovere necessario per essere “qualcuno”. Questa mentalità ha generato una pressione sociale enorme, dove la laurea non è solo un traguardo, ma quasi una misura del valore personale.

Chi non studia viene guardato con sospetto, chi abbandona è un fallito. Intanto, le università si riempiono di studenti disillusi, spesso lasciati soli, senza orientamento concreto e con una preparazione che non corrisponde più alle esigenze del mercato. È il paradosso dell’istruzione italiana: si studia tanto, ma non si lavora mai.

Il mondo del lavoro

Il mondo del lavoro, nel frattempo, ha smesso di aspettare i laureati. I millennial sono stati i primi a sperimentare sulla pelle il tradimento delle promesse accademiche. Cresciuti con l’illusione per cui lo studio portasse automaticamente al denaro, si sono ritrovati con titoli inutilizzati, esperienze svalutate e stipendi da fame.

Le aziende, sempre più orientate al contenimento dei costi e alla flessibilità estrema, chiedono competenze pratiche, immediate, e mal tollerano percorsi lunghi o teorici. La laurea, un tempo simbolo di riscatto sociale, oggi non basta nemmeno per accedere a ruoli umili, dove conta più l’esperienza che il titolo. Neanche per fare lo spazzino.

Universitari (pexels) risorgimentonocerino.it

L’università peggiore di Italia

Secondo l’ultima rilevazione di Adnkronos Demografica, l’Università di Catania è quella che registra i risultati peggiori in termini di occupabilità dei laureati. Peggio di lei solo Perugia e il polo di Modena-Reggio Emilia. Si tratta di un dato allarmante, soprattutto in ambiti strategici come la sanità pubblica, dove la formazione universitaria dovrebbe essere una garanzia di competenza. Invece, chi esce da questi atenei rischia di essere tagliato fuori in partenza.

Il quadro peggiora ulteriormente se si guarda alle discipline sociali. Il QS Ranking by Subject 2024 ha collocato in fondo alla classifica per diritto, economia e scienze politiche due istituzioni considerate d’élite: l’Università di Pisa e la Scuola superiore Sant’Anna. Un tonfo clamoroso, che dimostra come il nome dell’ateneo non basti a garantire sbocchi concreti. Per molti studenti e famiglie, si tratta di una doccia fredda: anni di studio, spese e aspettative, per poi trovarsi con un titolo che non apre porte. Anzi, le chiude.