La Contesa del Tavolino: Aniello Califano e la Genesi di “O surdato ‘nnammurato”

Nel 1915, Aniello Califano, originario di Sant’Egidio del Monte Albino, si trovò a Nocera Inferiore, presso l’antica sede del Caffè Romano. Seduto a un tavolino, sorseggiando un caffè, iniziò a stendere il testo della celebre “O surdato ‘nnammurato”. Anche se solo indizi, questi rimangono solidi elementi probanti. Successivamente, con l’apporto di collaboratori, completò l’opera al Caffè Gambrinus. L’effettiva preponderanza di un luogo sull’altro nella creazione della canzone rimane incerta. Tuttavia, anche un solo verso scritto a Nocera rappresenta un motivo d’orgoglio. Un’analisi integrata di storia, sentimento e contesto culturale suggerisce una visione inclusiva. La posizione che riconosce l’importanza di entrambe le location è perfettamente coerente con un approccio rigorosamente investigativo. Se anche solo una strofa di “O surdato ‘nnammurato” ha preso forma a Nocera, il tavolino di quel caffè acquista pari dignità a quello del Gambrinus. L’ispirazione, che sia durata un attimo o un’intera seduta, ha trovato lì il suo spazio, e questo basta. L’essenza poetica trascende la mera proprietà fisica. Immaginiamo una scena: due tavolini, uno nocerino, l’altro napoletano, dialogano sul privilegio di aver ospitato la nascita di un capolavoro. Uno scenario suggestivo: un tavolino rustico da caffè (quello nocerino) a sinistra, uno liberty elegante (quello del Gambrinus) a destra, illuminati da una luce soffusa. In sottofondo, un accenno strumentale di “O surdato ‘nnammurato”.

Tavolino di Nocera: “Dimmi, se si scrive un verso splendido, il primo, non ha valore? Io custodisco la penna, la tazzina e il cuore di quell’uomo! Ricordi quella domenica? Era pensieroso…”

Tavolino del Gambrinus: “Caro amico, ma la canzone trova completezza, eleganza. Io ho contribuito alla conclusione, al tono, all’ispirazione. Tra velluti, specchi e cameriere in guanti bianchi… quante muse hanno adornato la mia superficie!”

Tavolino di Nocera: “E io, quanti sentimenti autentici? Madri in attesa, figli in partenza, amanti delusi. Io sono l’inizio, non ambisco a onori, ma alla verità. Quando scrisse “Sta fernuto ‘o tiempo e ‘e passeggiate”, sentiva il cuore… e il cuore era qui.”

Tavolino del Gambrinus: “Forse… se ognuno ha dato il suo contributo, allora siamo le due metà della stessa musica.”

Tavolino di Nocera: “Brindisiamo allora… con un caffè, senza tazzina.”

(Le luci si attenuano, un’interpretazione sussurrata del ritornello di “O surdato ‘nnammurato” echeggia. Sipario)

Una Canzone e Due Tavolini (Ballata teatrale in versi)

Tavolino di Nocera: “Un tempo, quando la sera scendeva lenta nei vicoli, un uomo parlava con la speranza del soldato e dei nemici.”

Tavolino del Gambrinus: “Io sto su via Chiaia, tra signore dai guanti raffinati, ma quando scrisse questa canzone, non guardava le luci elettriche.”

Tavolino di Nocera: “Sotto un cielo senza fronde, con una tazzina a metà, nacquero parole come spine che al mattino già pungono.”

Tavolino del Gambrinus: “Ma fu sera, con i violini, e una voce sul palcoscenico, che questa storia d’amore e guerra ha messo l’anima nelle vene.”

Entrambi (a due voci): “Chi scrive una canzone bellissima non dimentica chi c’era: un tavolino è la penna, l’altro la carta sincera.”

Tavolino di Nocera: “Sono semplice, ma colto, figlio della campagna, ma il primo verso l’ho dato io!”

Tavolino del Gambrinus: “Ecco l’applauso commosso e grato.”

Entrambi (in chiusura): “E se il cuore non fa scena, c’è posto anche per me: a chi scrive, e a chi conserva la memoria del caffè.”