Originario di Tarso, in Cilicia (Turchia), Saul, nato tra il 10 a.C. e il 4 a.C., era un fariseo ebreo con cittadinanza romana, inizialmente artigiano tessile. Conosciuto come San Paolo, “l’apostolo delle genti”, la tradizione lo dipinge inizialmente persecutore del nascente Cristianesimo, convertitosi miracolosamente sulla via di Damasco attorno al 35 d.C. La narrazione consolidata presenta un’armonia tra Paolo, Pietro, Giacomo e la comunità giudeo-cristiana primitiva; tuttavia, questa versione necessita di un’attenta analisi critica. La nostra conoscenza della vicenda si basa prevalentemente sui resoconti di Paolo stesso, senza testimonianze dirette degli altri apostoli. È certo che né Gesù, né i suoi discepoli iniziali, avevano l’intenzione di creare un culto separato dalla legge mosaica.
Esaminiamo la sua presunta conversione. Atti e le lettere paoline offrono versioni contrastanti. Gli Atti degli Apostoli, redatti tra il 60 e il 90 d.C., sono successivi alle lettere di Paolo (50-65 d.C., secondo fonti come la Bibbia delle edizioni Paoline e gli scritti di Papa Paolo VI). In Atti 9,22 e 26, si narra della caduta da cavallo, della cecità e della guarigione ad opera di Anania. Tuttavia, nella Seconda lettera ai Corinzi (2-4), Paolo descrive un’esperienza radicalmente diversa, una “rapimento fino al terzo cielo,” evento di natura mistica e ineffabile. Oggi, simili affermazioni sarebbero considerate meritevoli di attenzione psichiatrica. La Seconda Lettera ai Corinzi non depone a favore della credibilità di Paolo, lasciando spazio a interpretazioni di opportunismo.
L’esame della Prima Lettera ai Galati (11-12) rafforza i dubbi. Paolo afferma di aver ricevuto il suo vangelo tramite “rivelazione di Gesù Cristo,” senza mediazione umana. Ciò solleva interrogativi sulla credibilità degli altri dodici apostoli, che avevano vissuto con Gesù. Sembra una sminuizione dell’esperienza degli apostoli originali. La paura di essere smascherato traspare in Galati 1, dove Paolo invoca l’anatema su chi predicasse un vangelo diverso dal suo. Questo atteggiamento suggerisce la manipolazione dell’ignoranza e della paura per imporre il proprio messaggio, una strategia che, purtroppo, la Chiesa ha perpetuato nei secoli.
Galati 1, 18-20, rivela un incontro con gli altri apostoli, tre anni dopo l’inizio della sua predicazione, limitato a Pietro e Giacomo. Questo contrasta con l’immagine di un’armonia immediata e costante. Testimonianze del primo cristianesimo e di Qumran definiscono Paolo “mentitore” e “apostata della legge mosaica”.
La comparazione tra le lettere di Paolo e gli Atti evidenzia una profonda divergenza tra gli insegnamenti originali e quelli di Paolo. Mentre gli apostoli e la comunità di Gerusalemme rispettavano la legge mosaica, Paolo introduce elementi innovativi: la non circoncisione, l’abbandono della legge mosaica, e la salvezza tramite sola fede, in contrasto con l’enfasi sulle opere di carità sostenuta dagli apostoli (Lettera di Giacomo).
Anche il Concilio di Gerusalemme (Atti 15), presentato come un accordo tra Paolo e gli apostoli (Pietro per gli ebrei, Paolo per i pagani), viene contraddetto da Atti 21,21, dove Giacomo rimprovera Paolo per aver insegnato agli ebrei sparsi tra i pagani ad abbandonare Mosè, la circoncisione e le consuetudini tradizionali. Ciò conferma la natura ebraica osservante del primo cristianesimo, profondamente diversa dalla versione proposta da Paolo. Il cristianesimo cattolico, ortodosso e protestante, dunque, deriva da una versione sostanzialmente rimodellata e, in un certo senso, “inventata” da Paolo di Tarso.
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