La Bibbia: Un testo immutabile? La complessa storia di una scrittura sacra

L’idea di una Bibbia immutabile, dettata direttamente da Dio, è una convinzione radicata ma non supportata da prove accademiche. L’analisi di numerosi codici biblici rivela una storia complessa, segnata da numerose revisioni e modifiche nel corso dei secoli. Le discrepanze non si limitano alle diverse traduzioni, ma sono presenti anche all’interno dei manoscritti stessi, a partire dalle versioni dei Masoreti, base delle nostre Bibbie moderne. Consideriamo, ad esempio, le osservazioni di Pinchas Lapide nel suo “Bibbia tradotta, Bibbia tradita” (Edizioni Dahoniane, Bologna, 2000). Lapide analizza l’opera di Martin Lutero, sottolineando la sua interpretazione fortemente cristocentrica, che lo portò a scelte di traduzione “unilaterali”. Lutero privilegiò una resa letterale quando il testo “suggeriva Cristo,” mentre optò per un linguaggio più scorrevole e chiaro quando si trattava di aspetti umani, sostituendo espressioni ebraiche con equivalenti tedeschi. Le divergenze sono palesi anche confrontando le versioni greche del III secolo a.C., le traduzioni aramaiche (targumim) e altre ancora. Martin McNamara, in “I targum e il nuovo testamento” (Edizioni Dahoniane, 1978), evidenzia le differenze tra le fonti elohista e yahwista, mettendo in luce come la fonte yahwista, redatta probabilmente dopo il ritorno dall’esilio babilonese, pone Yahwe al centro della narrazione, a differenza della fonte elohista, in cui la figura di Elohim è più prominente. Queste versioni, insieme a quella sacerdotale, furono integrate dai Masoreti tra il VI e il IX secolo d.C., creando la base del testo biblico attuale. McNamara rileva inoltre come, dopo l’esilio babilonese, si diffuse una tendenza a eliminare gli antropomorfismi, una tendenza già presente nella fonte elohista. Questo processo di revisione è ulteriormente confermato da D. Barthélemy nel suo articolo “Les tiqqune sopherim et la critique textuelle de l’AT” (“Vetus Testamentum, Suppléments”, v. 9, Leiden, 1963), dove si sottolinea come la volontà di rimuovere elementi ritenuti offensivi per la gloria divina caratterizzò l’opera degli scribi nei secoli precedenti la conquista di Gerusalemme da parte di Pompeo. Alla luce di queste considerazioni, l’idea di una Bibbia giunta integra dai tempi di Mosè appare fortemente discutibile.

Redazione

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