Due Gesù nel Vangelo di Matteo: un’analisi critica

Alcuni manoscritti del Vangelo di Matteo, tra cui i codici Q, F1 e 700, presentano una variante al versetto 27:17. Invece di “Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?”, alcuni testi greci originali riportano: “Chi volete che vi rilasci: Gesù detto il Cristo o Gesù detto Barabba?”. Questa discrepanza, già nota a Origene, che la rigettò considerando impossibile che un peccatore portasse il nome di Gesù, ha generato ampie discussioni. Papa Benedetto XVI, nel suo “Gesù di Nazareth”, offre una prospettiva illuminante. Secondo Ratzinger, e in accordo con la posizione di Origene, Barabba, il cui nome significa “figlio del padre”, rappresenta un alter ego politico di Gesù. La scelta tra i due non fu casuale, ma una contrapposizione tra due forme di messianismo: quello spirituale di Gesù, che propone la vita eterna tramite la rinuncia, e quello politico di Barabba (Yeshua Bar Abbàs), che prometteva la liberazione dal dominio romano con la forza. Questa interpretazione contrasta con la visione comune, ma è necessario considerare il contesto storico. L’Impero Romano, interessato principalmente al pagamento delle tasse e all’accettazione della divinità dell’imperatore, mostrava scarsa attenzione alle sottili distinzioni religiose dei popoli conquistati. L’ipotesi di una scelta popolare di Barabba per preservare la nazione appare dunque una forzatura teologica. Un’analisi più plausibile suggerisce uno scambio di ruoli tra Barabba e Cristo. Questa ipotesi trova supporto in diversi elementi: la scarsa attenzione romana alle questioni religiose; l’iscrizione sulla croce, “Iesus Nazarenus Rex Iudeorum” (Gesù Nazareno Re dei Giudei), incompatibile con un semplice leader spirituale; la natura tutt’altro che pacifica del gruppo di Gesù, composto da personaggi come Simone Pietro (Cefa, “roccia”), Giuda Iscariota (il cui nome ebraico, sheqer, significa sicario), Simone lo Zelota, e Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo soprannominati “figli del tuono”; e infine l’assenza di prove storiche a supporto dell’abitudine romana di rilasciare prigionieri durante le festività, in particolare in una provincia turbolenta come la Giudea, gestita da un governatore spietato come Ponzio Pilato. In definitiva, la figura di Gesù, o meglio Giosuè, appare come quella di un rabbi messianico antiromano, la cui rivolta contro i conquistatori ebbe un tragico epilogo.