Quaranta tre anni fa, il 23 novembre 1980, alle 19:35, la Campania e la Basilicata furono colpite da un violento terremoto. Mentre le famiglie si riunivano per la cena domenicale, un iniziale, lieve tremore si trasformò in un devastante sisma che durò novanta lunghissimi secondi, lasciando dietro di sé un’impronta indelebile. Le province di Avellino e Salerno furono le più duramente colpite. Centinaia di paesi dell’Irpinia, tra cui Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Castelnuovo di Conza e Santomenna, furono ridotti in macerie. Le immagini aeree dell’epoca mostrano la sconvolgente distruzione di interi centri abitati. La popolazione, già provata da un’economia prevalentemente agricola, si trovò a fare i conti con una catastrofe di immense proporzioni. Il ritardo nei soccorsi, come denunciato da giornalisti e intellettuali dell’epoca, aggravò la tragedia, impedendo di salvare molte vite. La precaria viabilità nelle zone rurali ostacolò l’accesso ai paesi di montagna, dove si concentravano gli insediamenti. I primi a intervenire furono volontari e molti emigrati del Nord, tornati per cercare i propri cari tra le rovine. Il bilancio fu straziante: circa 3.000 morti, oltre 9.000 feriti e più di 300.000 sfollati. Il ricordo di quei drammatici novanta secondi è ancora vivo nel cuore di chi ha vissuto l’orrore del terremoto, un evento che ha lasciato cicatrici profonde nella memoria collettiva e nell’architettura delle zone colpite, in particolare nelle province di Avellino e Salerno. Il dolore per la perdita di amici e familiari continua a rappresentare una ferita aperta per migliaia di persone.
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