L’immagine di Satana: un’invenzione ecclesiastica?

L’interpretazione della Bibbia da parte della Chiesa ha dato origine alla figura di Satana, l’antagonista di Dio, responsabile della tentazione umana e della diffusione del male sulla Terra. Questa costruzione narrativa serviva a giustificare la salvezza dell’anima attraverso l’osservanza delle leggi divine, generando così personaggi come Belfagor e Belzebù. In realtà, il termine “Satana,” che significa “avversario,” compare 18 volte nella Bibbia, riferendosi generalmente a un ruolo temporaneo assegnato a individui o entità divine (Elohim). Una volta terminato il compito, l’individuo cessa di essere Satana. Un esempio lampante è Re Davide, antenato di Gesù, definito “Satana” in 1 Samuele 29:4. Studiosi come Mauro Biglino hanno analizzato il ruolo di Satana nel libro di Giobbe, evidenziandone la funzione di accusatore e tentatore, mirando a dimostrare che la devozione di Giobbe era motivata da vantaggi materiali. Il testo descrive la presenza di Satana tra i figli di Elohim di fronte a Yahweh. Altre interpretazioni contestano la traduzione tradizionale di “Lucifero,” considerata un errore perpetrato anche da San Girolamo nella Vulgata. Il termine deriva da un testo satirico di Isaia 14, riferito a un personaggio ambizioso, forse Nabonedo, re di Babilonia, sconfitto da Ciro il Grande. La Chiesa ha estrapolato i versi che descrivono l’ascesa e la caduta del personaggio, creando la figura di Lucifero. L’etimologia di Belfagor e Belzebù è altrettanto controversa. Belfagor deriva da Baal-Peor, divinità moabita legata a pratiche sessuali descritte in Numeri 25. Belzebù, invece, è una trasformazione di Baal-Zebub, dio di Ekron, menzionato in 2 Re 1, in un contesto che non ha legami diretti con la figura demoniaca nota oggi. Queste analisi dimostrano come le figure demoniache tipiche della tradizione cristiana siano frutto di interpretazioni e traduzioni che hanno trasformato significati e ruoli originariamente diversi.