Il Dio biblico: un’analisi critica dei suoi attributi
Un’attenta analisi della traduzione letterale dell’ebraico biblico, come quella presente nelle edizioni San Paolo, rivela una discrepanza tra l’immagine tradizionale di Dio e la realtà testuale. Un lettore, a cui va la nostra gratitudine per le sue osservazioni, ha descritto Dio come creatore, onnipotente, onnisciente, eterno, onnipresente e trascendente. Tuttavia, consultando dizionari di ebraico e aramaico biblici, emergono sfumature significative. Il verbo “bara”, ad esempio, tradotto con “creare” in Genesi 1,1 (“In principio Dio creò il cielo e la terra”), non implica necessariamente la creazione *ex nihilo*, ma piuttosto la formazione di qualcosa utilizzando materiali preesistenti, simile alla creazione di una statua. Inoltre, concetti come spiritualità e trascendenza erano pressoché sconosciuti agli ebrei prima del ritorno dall’esilio babilonese (515 a.C.) e della ricostruzione del tempio. Solo in seguito, con l’allontanamento dalla presenza fisica di Yahweh, si sviluppò gradualmente il concetto di un Dio spirituale, un processo ulteriormente influenzato dal platonismo e dal neoplatonismo in epoca successiva. L’attributo di “onnipotente”, spesso reso con El Shaddai, presenta ambiguità interpretative. La Bibbia di Gerusalemme, ad esempio, suggerisce traduzioni alternative come “Dio della montagna” o “Dio della steppa”, mettendo in discussione la tradizionale interpretazione di onnipotenza. L’onniscienza divina è altrettanto problematica. Episodi biblici, come Genesi 18,21 (Dio che scende a Sodoma per vedere) e Genesi 11,5 (Dio che scende a osservare la Torre di Babele), suggeriscono una conoscenza limitata o un’azione basata sull’osservazione diretta. Anche la negoziazione con Abramo sul numero dei giusti a Sodoma sembra contrastare con il concetto di onniscienza assoluta. Infine, l’aggettivo “eterno”, tradotto dall’ebraico “olam”, presenta un’ulteriore complessità. Diversi dizionari, come l’edizione italiana del dizionario di ebraico ed aramaico biblico di Oxford, consigliano di evitare la traduzione con “eternità”, poiché “olam” si riferisce a un tempo e uno spazio indefiniti, non necessariamente infiniti. Queste osservazioni mostrano come una lettura critica del testo biblico possa ridefinire la comprensione tradizionale degli attributi divini.