Il nome Gesù, familiare a miliardi di persone, cela interessanti sfaccettature storiche e linguistiche. In realtà, il suo nome originale era Giosuè, un appellativo comune in Palestina, portatore di auspici positivi, che significava “Yahweh salva”. La forma “Yehoshua ben Youssef”, quindi, andrebbe tradotta come “Giosuè figlio di Giuseppe”, non “Gesù figlio di Giuseppe”. L’abbreviazione di Yehoshua in Yeshu, poi latinizzato in Jesus e infine in Gesù, riflette una pratica comune sia in Palestina che altrove di accorciare i nomi. Un’analisi attenta della crocifissione, come descritta nel Vangelo di Marco, capitolo 23, versetto 32, rivela sottili ma significative differenze nelle diverse traduzioni. La “Nuova Riveduta” utilizza la punteggiatura per attenuare il significato, mentre la Conferenza Episcopale Italiana modifica addirittura una parola. Il testo greco originale, “eteroi cacurgoi duo”, significa letteralmente “altri due malfattori”, evidenziando che la crocifissione di Gesù non fu un evento puramente religioso, ma la conseguenza della sua identificazione come ribelle contro l’Impero Romano. Infine, un’altra curiosità riguarda la sostentamento di Gesù e dei suoi apostoli durante i suoi anni di predicazione (uno o tre, a seconda dei vangeli). In assenza di sistemi di welfare, Luca, nel capitolo 8 del suo vangelo, descrive come fossero assistiti economicamente da un gruppo di donne, tra cui Maria Maddalena e altre, che li aiutavano con le proprie risorse. Similmente a molti leader spirituali moderni, dunque, Gesù ricevette sostegno economico da donne devote.
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