Tra i reperti più commoventi di Pompei, i calchi in gesso delle vittime dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. offrono una testimonianza straziante degli ultimi istanti di vita di coloro che non riuscirono a fuggire. Queste figure, immortalate nel tempo, rappresentano un simbolo potente della catastrofe e sono state fonte di ispirazione per artisti e poeti per secoli. Si stima che oltre mille persone persero la vita nella tragedia. Durante la prima fase eruttiva, molti abitanti, sorpresi dall’evento, rimasero intrappolati in edifici sommersi da pomici e lapilli, o furono colpiti dai crolli causati dall’accumulo di materiale vulcanico, che raggiunse un’altezza di circa tre metri. Inizialmente, si recuperarono solo i resti scheletrici di queste vittime. In seguito, un’impetuosa nube piroclastica ad alta temperatura investì la città, sigillando il destino di chi era ancora vivo, causando morte istantanea per shock termico. I corpi rimasero esattamente nella posizione in cui il flusso li aveva raggiunti. La cenere vulcanica, solidificandosi in uno strato duro detto “tufo”, conservò l’impronta dei corpi anche dopo la decomposizione. Questa “forma” lasciata nella cenere indurita ispirò una tecnica innovativa. A partire dal 1863, grazie al metodo perfezionato da Giuseppe Fiorelli, si iniziò a creare i calchi. La tecnica consiste nel riempire le cavità lasciate dai corpi con una miscela di gesso e acqua; una volta indurita, la forma viene estratta, rivelando un calco dettagliato. Il sito di Pompei rappresenta un caso unico al mondo: a differenza di altri siti archeologici, questa tecnica non preserva solo le ossa, ma rivela la forma completa dei corpi, i vestiti, i tratti del viso e persino i gesti finali, congelando per l’eternità l’agonia delle vittime. Circa un centinaio di calchi sono stati realizzati, diventando tra i reperti più toccanti del Parco Archeologico di Pompei, mostrando la sofferenza e la disperazione delle persone, a distanza di quasi duemila anni. La maggior parte dei calchi sono esposti in loco, in vetrine o sotto ripari; tredici sono raccolti nell’Orto dei Fuggiaschi. Nel 2015, ottantasei calchi sono stati restaurati e sottoposti a TAC per determinare l’età, le condizioni di salute e lo stile di vita delle vittime. Tra i più noti, ricordiamo “Gli Amanti”, due calchi di epoca fascista inizialmente interpretati come una coppia abbracciata. Recenti analisi genetiche hanno invece rivelato che si trattava di due giovani uomini, di 18 e 20 anni.
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