Cinque anni fa, il Vesuvio divenne teatro di un disastro ambientale di proporzioni inedite. L’11 luglio 2017, un incendio doloso devastò oltre 200 ettari del Parco Nazionale, un evento che ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva. La tragedia non fu causata da un’eruzione, ma da un’azione criminale che trovò terreno fertile nell’insufficienza dei mezzi di soccorso, nella scarsa prevenzione e nell’incapacità di gestire l’emergenza, aggravata da condizioni climatiche avverse. Già da maggio e giugno si erano manifestati segnali premonitori, ma la situazione degenerò rapidamente. Per giorni, il Vesuvio si trasformò in un’immensa pira, con colonne di fumo che, sospinte dal vento, raggiunsero persino la Puglia. Dalla prospettiva di Napoli, lo scenario era surreale: il vulcano, simbolo del Golfo, svanì in un’orribile visione, rievocando, dagli scavi di Pompei, il disastro di duemila anni prima. Il culmine si raggiunse quando i roghi, divampati su entrambi i versanti, si congiunsero in un fronte di fuoco di oltre due chilometri. Boscotrecase, Trecase, Ercolano, Terzigno, Ottaviano, Torre del Greco e Torre Annunziata furono coinvolte, con abitazioni e ristoranti evacuati a causa delle fiamme. Solo dopo circa una settimana, grazie all’intervento di mezzi aerei, squadre di soccorso e volontari, l’incendio venne domato. Le indagini aprirono diversi filoni investigativi: dalla criminalità organizzata agli interessi personali legati a bonifiche, rifiuti e abusivismo edilizio. Seppur due individui siano stati condannati – un 24enne di Torre del Greco, condannato a 3 anni e 10 mesi in appello per aver appiccato un incendio con un accendino, e un contadino 64enne di Vico Equense, condannato a 5 anni – la giustizia appare incompleta. L’incendio, probabilmente orchestrato da una regia criminale mai del tutto svelata, coinvolse l’intera superficie del vulcano. A distanza di cinque anni, la maggior parte dei responsabili rimane impunita. Oggi, però, l’associazione Primaurora organizza eventi come “Il Vesuvio non dimentica”, con passeggiate naturalistiche nelle aree rigenerate grazie al progetto “Riforestiamo il Gigante”, che ha portato alla piantumazione di oltre 2500 alberi autoctoni, tra cui lecci, frassini, sughere e corbezzoli, simbolo di rinascita e speranza.
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