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Ricordando le Vittime del Covid: Un Anno Dopo, Tra Speranze e Realtà

Un anno dopo l’istituzione della Giornata Nazionale in memoria delle vittime del Coronavirus, il 18 marzo, riflettiamo sull’impatto devastante della pandemia. Oltre 13 milioni di italiani sono risultati positivi al virus, con un bilancio di oltre 157.000 decessi, un dato straziante che ci riporta ai giorni bui della quarantena nazionale. Le immagini dei convogli militari che trasportavano le salme dagli ospedali sovraffollati rimangono impresse nella memoria collettiva. Ma come hanno vissuto quei momenti drammatici coloro che si trovavano in prima linea? Abbiamo raccolto la testimonianza di Chiara (nome di fantasia), operatrice sanitaria di un distretto italiano, che lavorava nel reparto di terapia subintensiva Covid dell’ospedale Ruggi d’Aragona.

Nei primi mesi della pandemia, Chiara e i suoi colleghi si sono dedicati anima e corpo all’assistenza dei pazienti, spinti da un forte senso di responsabilità. Ben presto, però, l’idealismo iniziale ha lasciato spazio a una profonda consapevolezza dell’impotenza di fronte alla malattia. La mancanza di terapie efficaci, soprattutto all’inizio, ha generato smarrimento e paura. Chiara ricorda la sensazione di impotenza, la costante paura del contagio, sia per sé che per i propri cari. La prima settimana ha vissuto un isolamento quasi totale, per proteggere la sua famiglia. Questo sentimento, diffuso tra il personale sanitario, è stato una costante per mesi.

Un anno fa, il Ministro della Salute, Roberto Speranza, dichiarò che il miglior modo per onorare le vittime fosse investire nel Servizio Sanitario Nazionale. Ma cosa è cambiato realmente? Chiara, vincitrice di tre concorsi pubblici, ancora non ha un contratto stabile. La precarietà del lavoro nel settore sanitario, afferma, rimane un problema irrisolto. Nonostante le dichiarazioni di intenti, gli investimenti promessi non si sono concretizzati. La stabilizzazione del personale dopo 18 mesi di contratto a tempo determinato è lasciata alla discrezionalità delle aziende, lasciando molti operatori sanitari in una situazione di incertezza.

La campagna vaccinale ha senza dubbio contribuito a ridurre la gravità della malattia e l’afflusso nelle terapie intensive. Tuttavia, l’aumento dei contagi, in assenza di restrizioni significative, fa riflettere sul rischio di un allentamento prematuro delle misure di contenimento. Per Chiara, tornare alla “normalità” pre-pandemia senza adeguate precauzioni, come l’uso della mascherina, sarebbe una scelta azzardata. La situazione, secondo la sua esperienza, è ancora lontana dall’essere sotto controllo.

Redazione

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