Un ritorno amaro: 8.000 tonnellate di rifiuti bloccati in Tunisia e le conseguenze

Circa ottomila tonnellate di rifiuti, destinati inizialmente alla Tunisia per lo smaltimento, sono tornate nel porto di Salerno dopo quasi due anni di stallo. La nave Martine A, di proprietà della compagnia turca Arkas, ha attraccato ieri sera alle 22, scaricando 213 container rimasti per lungo tempo nel porto tunisino di Sousse. La controversia, che ha generato tensioni diplomatiche, è nata dall’irregolarità del trasporto, coinvolgendo i governi italiano e tunisino e la Regione Campania. L’opacità della vicenda è evidente: la destinazione dei rifiuti, inizialmente previsti per Persano (Serre), ha scatenato le proteste degli amministratori locali, esclusi da ogni decisione. Si tratta di rifiuti misti, potenzialmente sanitari e non riciclabili, la cui esportazione è proibita dalle normative tunisine e dalle convenzioni internazionali. Nel 2020, la società italiana Sra di Polla aveva stipulato un accordo con la Sorepast, azienda tunisina, ottenendo l’autorizzazione regionale. Tuttavia, il trasporto, privo delle necessarie certificazioni, ha causato il sequestro del carico a Sousse. Sono seguite lunghe trattative, con la Tunisia che ha richiesto il pagamento di ingenti costi di stoccaggio (circa 25.000 euro al giorno per 21 mesi). La compagnia Arkas, inoltre, reclama un risarcimento milionario per i ritardi imputati alla Regione Campania. Un accordo tra il Ministro Di Maio e il Presidente Kais Saied, raggiunto il 7 febbraio, ha sbloccato la situazione, ma 69 container risultano ancora dispersi a causa di un incendio in un deposito di Mourredine. L’intervento delle autorità doganali ha portato ad un’indagine della magistratura tunisina, con arresti per corruzione, tra cui quello del console a Napoli. Inoltre, emerge che la Sorepast sarebbe una società fittizia, legata al regime di Ben Alì e con precedenti per attività illecite. In Italia, le procure di Salerno e Potenza indagano sulla vicenda, focalizzandosi sulla Sra di Polla. Rimane la preoccupazione sulle condizioni dei rifiuti dopo un così lungo periodo, con il rischio di una potenziale pericolosità o cancerogenicità.