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La scuola italiana: tra didattica e soffocamento burocratico

L’eccessivo carico burocratico sta soffocando la scuola italiana. Un’incessante richiesta di dati, informazioni e monitoraggi, proveniente da un apparato amministrativo ipertrofico, sta impedendo ai docenti di dedicarsi alla vera missione educativa. Come denunciava già un articolo del 2017, questa iper-burocratizzazione si traduce in un’ossessione morbosa per la documentazione, che si manifesta in inutili corsi di formazione, riunioni estenuanti su progetti scollegati dalla didattica e commissioni che generano documenti faraonici, spesso indicati da sigle incomprensibili. Si aggiunge la farraginosa compilazione di moduli, la richiesta di informazioni su alunni identificati da codici anonimi e la gestione della privacy, che impone l’utilizzo di sigle e codici al posto dei nomi. Questa sovrabbondanza di adempimenti amministrativi non solo complica la vita dei docenti, ma li priva delle energie necessarie per la loro vera attività: l’insegnamento, per il quale ricevono uno stipendio inadeguato. La situazione attuale, nata in seguito all’introduzione dell’autonomia scolastica, presenta una discrepanza significativa rispetto al passato: il numero di riunioni mensili supera quello annuale degli anni ’60 e ’70, con un aumento esponenziale di responsabilità e compiti burocratici che costringono i docenti a prolungare la permanenza a scuola e a portare a casa il lavoro, situazione sconosciuta in altre amministrazioni pubbliche. Le conseguenze di questo sovraccarico sono già evidenti: in alcune regioni e materie si registra una carenza di insegnanti, spinti a cercare occupazioni più remunerative, considerando lo scarso riconoscimento sociale e la precaria retribuzione. In sintesi, la scuola italiana sta perdendo la sua anima didattica, soffocata da un apparato amministrativo inefficiente e opprimente.

Redazione

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