Il 1° luglio 2005 ha segnato la fine di un’era lunga 143 anni: la coscrizione obbligatoria, nota come “naja”, è stata definitivamente abolita. Istituita nel 1862 con la nascita del Regno d’Italia, la leva obbligatoria imponeva ai giovani maschi italiani di prestare servizio militare per dodici mesi (inizialmente di più) al compimento dei diciotto anni. Fino a poco più di un decennio fa, la consueta “cartolina” di chiamata alle armi era un rito di passaggio per i diciottenni. La durata del servizio variava a seconda del corpo di appartenenza (Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri) e fu gradualmente ridotta nel corso degli anni. L’insoddisfazione popolare riguardo all’obbligatorietà del servizio militare, percepito come una restrizione della libertà individuale e una forma di discriminazione di genere per l’esclusione delle donne, era ormai diffusa ben prima del decreto del 2005. Già nel 1972, una legge introdusse l’obiezione di coscienza, consentendo ai giovani di evitare il servizio militare armato per motivi etici, aprendo la strada a forme di servizio civile alternativo, seppur inizialmente ancora obbligatorio. Dal 2000, le donne hanno ottenuto l’accesso all’esercito su base volontaria. La crescente indignazione pubblica, alimentata da numerosi casi di abusi e nonnismo, ha infine contribuito alla decisione di abolire la leva obbligatoria. Questa scelta si inquadra nel principio costituzionale che ripudia la guerra come mezzo di offesa, limitandola alla sola difesa nazionale, rendendo superflua una forza armata basata sulla coscrizione di massa. Nonostante ciò, per molti, la “naja” resta un ricordo significativo, un’esperienza che ha favorito l’incontro con realtà diverse, l’integrazione sociale e la nascita di amicizie durature, soprattutto in un’epoca caratterizzata da scarsa mobilità geografica e linguistica.
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