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Le usanze matrimoniali a Nocera tra Ottocento e Novecento: un dolce presagio nel caffè

L’approvazione familiare dei fidanzamenti a Nocera, tra Ottocento e Novecento, si rivelava attraverso un semplice, ma eloquente, dettaglio: la dolcezza del caffè offerto dal capofamiglia al pretendente. Un sorso amaro significava un netto rifiuto; una bevanda zuccherata, invece, sanciva l’accettazione. Prima del 1866, il corteggiamento era spesso un gioco di sguardi fugaci per strada, un passaggio fortuito davanti alla casa dell’amata, o messaggi sussurrati tramite amiche comuni. Le serenate notturne sotto le finestre rappresentavano un altro rituale: l’apertura delle persiane era segno di approvazione, la chiusura immediata, un chiaro rifiuto. La svolta arrivò nel 1929 con i Patti Lateranensi, come descritto da Rita Cuofano, ufficiale di stato civile e storica locale, sul suo blog. L’introduzione del matrimonio concordatario, che univa gli effetti civili a quelli canonici, segnò una profonda trasformazione nel panorama giuridico matrimoniale. Prima di allora, il matrimonio religioso, pur scelto da molti, non aveva valore legale. Prima del 1866, i futuri sposi, alla presenza di testimoni, dichiaravano solennemente la loro promessa di matrimonio all’ufficiale di stato civile, inviando una copia al parroco per la successiva celebrazione religiosa. Un’annotazione del parroco, sulla copia della promessa, ne certificava la data. La prima unione concordataria a Nocera Superiore fu quella dei nonni della Cuofano, Giuseppe Cuofano e Teresa Corradi. Se il caffè era zuccherato, si procedeva alla definizione degli aspetti economici e alla data delle nozze. Lo sposo si faceva carico dell’abitazione e dell’arredamento; la sposa, oltre all’eventuale dote, preparava il corredo e le stoviglie, spesso fin dall’adolescenza. Dopo l’assenso familiare, gli incontri tra i fidanzati avvenivano sotto lo sguardo attento della madre o di un parente, che fungeva da chaperone. Il matrimonio si celebrava di domenica pomeriggio, senza bomboniere, ma con semplici confetti e dolci offerti in anticipo agli invitati. La cerimonia aveva luogo nella parrocchia o nella chiesa più vicina alla casa della sposa; solo le famiglie più influenti celebravano le nozze nella cappella privata. Non c’erano sfarzi, né abiti appariscenti: la semplicità era la regola. Dopo la cerimonia, gli sposi si ritiravano a casa. La suocera, per allontanare il malocchio e favorire il concepimento di un maschio, poneva sotto il materasso del letto nuziale un attrezzo tagliente (falce, coltello o forbici). Inoltre, posizionava un pannolino sotto il cuscino per raccogliere la prova della verginità della sposa. La sposa restava chiusa in casa per una settimana (“otto juorne r’a zita”) prima di effettuare le visite di rito a parenti e amici.

Redazione

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