L’eccessiva burocratizzazione scolastica soffoca la qualità dell’insegnamento, distogliendo risorse e attenzioni dagli obiettivi educativi primari. Il peso di procedure amministrative infinite, spesso irrilevanti per l’attività didattica, genera una realtà artificiale che contrasta profondamente con la natura stessa dell’educazione, fondata sulla relazione umana e sulla crescita culturale. Molti insegnanti, mossi da una profonda passione per la trasmissione del sapere e la formazione degli studenti, si trovano impantanati in un labirinto di adempimenti burocratici, che poco hanno a che fare con l’insegnamento di Petrarca, Kant, Darwin o della trigonometria. Come sottolineato da un autorevole commento del 2019, questo sovraccarico amministrativo trasforma gli insegnanti, figure intellettuali per definizione, in semplici impiegati, impedendo loro di dedicarsi appieno al loro compito principale: la formazione delle giovani generazioni. Strumenti come le griglie di valutazione, spesso inutili e disconnessi dalle reali esigenze di apprendimento, rappresentano un esempio lampante di questa alienazione, dove il processo educativo si piega alle esigenze formali, anziché il contrario. Questa situazione, frutto di scelte politiche degli ultimi decenni, indipendentemente dall’orientamento, ha trasformato la scuola in una struttura aziendale, gravando anche sui dirigenti scolastici, oberati da responsabilità crescenti senza un adeguato supporto. La scuola necessita di una profonda riforma, che semplifichi le procedure burocratiche senza snaturare la sua funzione educativa. La priorità deve essere la modernizzazione degli apparati amministrativi, non della pratica didattica partecipativa. Investire nella scuola significa riconoscerne il valore come bene comune, promuovendo un ambiente educativo aperto, autonomo, collegiale e pluralista, liberato dall’ingombro di un apparato burocratico opprimente.
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