Categories: Cultura & Spettacolo

Cinquantaquattro anni fa, la scomparsa di un gigante: Antonio de Curtis

Il 15 aprile 1967, Roma piangeva Antonio de Curtis, il celebre Totò. Nino Manfredi, commosso, lo definì “l’ultima delle grandi maschere della Commedia dell’Arte”. Attore, drammaturgo, poeta e sceneggiatore, l’icona partenopea mantenne un profondo legame con la sua Napoli, tanto che, si narra, espresso il desiderio di far ritorno in patria nelle sue ultime ore. La sua straordinaria carriera, iniziata con esibizioni giovanili come “macchietta”, spaziò attraverso 97 film, oltre 40 produzioni teatrali e numerose apparizioni televisive, arricchendo il patrimonio culturale italiano con memorabili battute e scene, come la celebre lettera in “Totò, Peppino e la malafemmina” o le indimenticabili frasi: “Lei è un cretino, s’informi!”, “Signori si nasce e io lo nacqui, modestamente!”, o “Siamo uomini o caporali?”. Nonostante il grande successo popolare, la critica spesso lo trattò con durezza, un’ostilità che gli causò profondo dolore. Parlando della sua morte, sentenziò con amarezza: “Al mio funerale sarà bello assai, perché ci saranno parole, paroloni, elogi; mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo paese, dove però per ottenere riconoscimento, bisogna morire”. In questo anniversario, ricordiamo alcune curiosità meno note della sua vita. Totò era un nobile di sangue: nel 1946, un tribunale napoletano gli confermò il titolo di “Sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito…”, una lunga lista di titoli nobiliari. La sua inconfondibile mascella? Il risultato di un pugno ricevuto durante gli studi al collegio di Cimino; lo stesso Totò dichiarò che la sua immagine scenica nacque proprio da quell’incidente. Il nome della figlia, Liliana, rende omaggio ad un suo amore giovanile, la cantante Liliana Castagnola, morta suicida. Come molti napoletani, Totò era molto superstizioso: evitava ogni impegno di venerdì e nutriva una forte avversione per i gatti neri. Ironia della sorte, nel 2017, a cinquanta anni dalla morte, l’Università Federico II di Napoli gli conferì una laurea honoris causa in Discipline della Musica e dello Spettacolo. I suoi funerali furono tre: uno a Roma, uno a Napoli ed un terzo nel rione Sanità. A Napoli, la presenza di Dino Valdi, sua controfigura, causò svenimenti e panico tra la folla che credeva al ritorno del grande attore. Infine, un’ultima nota, forse meno piacevole: nonostante i progetti decennali, un museo a lui dedicato rimane ancora un miraggio. Il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, un anno fa a Pompei, ne ribadì la realizzazione, ma le tempistiche restano ancora ignote. Intanto, circa due milioni di euro sono stati investiti dal 2000 ad oggi. Come avrebbe detto Totò: “E io pago!”

Redazione

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