L’evoluzione del COVID-19: un aggiornamento sulle varianti virali

L’evoluzione del COVID-19: un aggiornamento sulle varianti virali

A un anno dall’inizio della pandemia, mentre l’Italia affronta nuove ondate di contagi e restrizioni regionali, la questione delle varianti del COVID-19 rimane centrale nel dibattito pubblico. Il virus, replicandosi, subisce inevitabili modifiche genetiche, alcune delle quali ne alterano la trasmissibilità o la capacità di eludere le difese immunitarie. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha catalogato centinaia di mutazioni, alcune delle quali destano particolare preoccupazione. Tra queste, le varianti individuate in Gran Bretagna, Sudafrica e Brasile hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica internazionale. La variante britannica, identificata nel settembre 2020, presenta una maggiore trasmissibilità rispetto al ceppo originale; in Italia, rappresenta circa il 17% dei nuovi casi, con percentuali superiori in alcune regioni come la Campania (25%). La variante sudafricana, anch’essa caratterizzata da una maggiore contagiosità (sebbene inferiore a quella inglese), ha generato ulteriori sottovarianti, come quelle scoperte a Napoli. La variante brasiliana, rilevata a gennaio 2021 in Giappone su viaggiatori provenienti dal Brasile, mostra una elevata capacità di diffusione e una potenziale maggiore propensione alla reinfezione. L’efficacia dei vaccini esistenti contro queste varianti è ancora oggetto di studio. Mentre i dati suggeriscono una buona efficacia del vaccino Pfizer contro la variante inglese, l’efficacia contro le varianti sudafricana e brasiliana potrebbe essere minore, con Moderna che sta lavorando attivamente su questo fronte. È importante sottolineare che una minore efficacia non significa inefficacia: la vaccinazione rimane uno strumento fondamentale nella lotta alla pandemia. Oltre alla vaccinazione, misure quali l’uso corretto delle mascherine e il distanziamento sociale rimangono cruciali per limitare la diffusione del virus. Secondo alcuni esperti, misure più drastiche, come un lockdown nazionale, potrebbero essere necessarie per contenere la diffusione delle varianti, ma la loro fattibilità politica e sociale resta oggetto di dibattito.