L’estate del 1968, a ridosso della scadenza della Legge Ponte, vide l’approvazione di centinaia di permessi edilizi accumulati presso l’Ufficio Tecnico di Nocera Inferiore. Una situazione paragonabile all’apertura improvvisa di un recinto, con il bestiame che si disperde indisturbato. Il boom economico degli anni Sessanta, mentre portava prosperità a molte famiglie, alimentò una speculazione edilizia senza precedenti. L’improvviso aumento del potere d’acquisto rese l’abitazione propria un obiettivo primario, creando un terreno fertile per l’avidità imprenditoriale. A differenza di oggi, l’attività edilizia di allora era pressoché priva di regolamentazione. Pochissimi comuni disponevano di piani urbanistici, e l’influenza della lobby delle costruzioni era tale da condizionare persino le politiche governative. La testimonianza più eloquente di tale potere è l’esperienza dell’onorevole Fiorentino Sullo, Ministro dei Lavori Pubblici, che nel 1963, propose una legge urbanistica, subendo una violenta reazione che lo costrinse al ritiro del progetto e all’allontanamento dal Governo. La tragedia di Agrigento del 1966, con la frana che costrinse allo sfollamento di migliaia di persone a causa di costruzioni abusive, spinse finalmente l’approvazione della Legge 765 (Legge Ponte) nell’agosto del 1967. Questa legge, pur provvisoria, introdusse importanti innovazioni: l’obbligo per i comuni di dotarsi di un piano regolatore entro un anno e l’introduzione dei costi di urbanizzazione a carico dei costruttori e degli standard urbanistici minimi. Tuttavia, a Nocera Inferiore, nell’estate del 1968, anziché attendere l’approvazione del piano regolatore, si optò per il rilascio di massa dei permessi edilizi pendenti, prima della scadenza del termine stabilito dalla Legge Ponte. Questa scelta scellerata permise la continuazione di un’espansione edilizia incontrollata, pregiudicando l’efficacia del futuro piano regolatore e causando un danno irreversibile al paesaggio urbano. La distruzione di ville storiche, come quelle dei Gambardella in via Matteotti, e la delocalizzazione degli insediamenti popolari, svuotarono i quartieri storici di migliaia di abitanti. Questa decisione, frutto forse di incompetenza o di interessi privati, rappresentò un tradimento dell’interesse pubblico, un’eredità di amarezza e di nostalgia per le generazioni future. Le proteste di chi, già allora, denunciava questo scempio, furono ignorate, considerate come ostacoli al progresso.
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