Agli inizi del XIX secolo, la baronessa Maria Paternò, originaria di Catania, ottenne il divorzio, un evento rivoluzionario per l’epoca, grazie all’applicazione del Codice Napoleonico e all’assistenza di un abile legale. Il Regno di Napoli, sotto il dominio di Gioacchino Murat, fu il primo stato italiano a legalizzare il divorzio, inaugurando un periodo di profondi cambiamenti sociali e di rinnovamento nel Meridione. Murat, cognato di Napoleone Bonaparte, divenuto re di Napoli nel 1808, promosse diverse riforme, tra cui l’istituzione di un sistema scolastico più equo e lo sviluppo di infrastrutture pubbliche. Tuttavia, alcune sue iniziative, come la soppressione della Scuola Medica Salernitana nel 1811, suscitarono polemiche. L’introduzione del Codice Napoleonico il 1° gennaio 1809, oltre al divorzio, sanciva anche il matrimonio civile e l’adozione, generando resistenze da parte del clero. Secondo Benedetto Croce, che studiò il fenomeno nel suo scritto “Il divorzio nelle province napoletane 1809-1815”, i casi di divorzio furono rari a causa della reticenza dei giudici, intimoriti da possibili scomuniche. La baronessa Paternò, accusando il marito di crudeltà, avarizia e comportamento disonorevole, ottenne il divorzio ai sensi dell’articolo 296 del Codice. Interessante notare che, dieci mesi dopo, si unì in matrimonio con il suo avvocato. Il Codice Napoleonico rimase in vigore fino al giugno 1815, quando i Borbone ripresero il controllo del Regno e lo abrogarono immediatamente. Il divorzio fu reintrodotto in Italia solo nel 1970, con la legge Fortuna-Baslini, confermata da un referendum nazionale del 1974.
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