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Un Cimitero Borbonico per i Poveri di Napoli: Innovazione e Pietà nel ‘700

Nel 1762, sotto il regno dei Borbone, Napoli vide la nascita di un’opera pionieristica: il camposanto di Santa Maria del Popolo, noto anche come cimitero dei Tredici o delle 366 fosse. Questa iniziativa rappresentava un’eccezionale dimostrazione di pietà reale verso i meno fortunati, un’assoluta novità per l’epoca. Situato ai piedi della collina di Poggioreale, il suo appellativo “dei Tredici” deriva da una trasformazione del toponimo “Monte di Leutrecco”, legato all’accampamento francese del visconte di Lautrec durante l’assedio del 1528. A Napoli, città profondamente legata al culto dei defunti, l’idea di abbandonare le spoglie dei poveri senza una sepoltura dignitosa era inconcepibile, contrastando la disparità di trattamento tra ricchi, inumati in chiese, e indigenti. Questo cimitero, dunque, nasceva per colmare tale lacuna, offrendo una degna dimora eterna alle classi più umili.

Prima della sua costruzione, le sepolture dei poveri avvenivano in grotte, chiese e ospedali, spesso in fosse comuni, come quella sotto l’ospedale degli Incurabili, tristemente nota come “piscina”, utilizzata massicciamente durante la peste del 1656. Ferdinando Fuga, architetto già impegnato nel Real Albergo dei Poveri (1751), ricevette l’incarico di progettare il nuovo camposanto sotto il regno di Ferdinando IV. La scelta di edificarlo fuori dalle mura cittadine rappresentava un’innovazione anticipatrice di ben 42 anni rispetto all’editto di Saint-Cloud (1804) di Napoleone Bonaparte, che impose tale disposizione per ragioni sanitarie.

Il progetto del Fuga era semplice ma efficace: 366 fosse, una per ogni giorno dell’anno, disposte in un cortile recintato (19 file per 19 righe, più sei fosse coperte). Un lampione centrale illuminava l’area. Ogni fossa (4,20 x 4,20 metri, profonda circa otto metri), contrassegnata da una pietra tombale numerata, accoglieva i defunti del giorno corrispondente secondo un sistema bustrofedico. Questo metodo assicurava una sepoltura ordinata e cronologicamente tracciabile, permettendo ai familiari di ritrovare la tomba del proprio caro conoscendone solo la data di morte.

Fino al 1875, le salme venivano deposte senza particolari attenzioni. Solo allora, grazie alla donazione di un argano da parte di una baronessa inglese, le sepolture acquisirono maggiore dignità. Chiuso nel 1890 per obsolescenza, il cimitero delle 366 fosse ha accolto, secondo le stime, oltre 700.000 corpi, testimonianza silenziosa di un’opera di carità reale e di un’innovazione sociale di grande rilevanza.

Redazione

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