A San Valentino Torio, come in molti altri centri dell’Agro, un monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale troneggia silenzioso in Piazza Amendola. La lapide marmorea, sovrastata da un’allegoria bronzea della Patria e da un obelisco, recita: “Per la grandezza d’Italia pugnando da eroi caddero”. Eretto negli anni Venti, grazie anche a generose donazioni popolari, il monumento incarnava il mito della “Grande Guerra”, simbolo di eroismo nazionale e identità patria. Questa geografia della memoria, spesso nata prima ancora della fine del conflitto, rifletteva un’esigenza popolare, non un’iniziativa amministrativa. Ma a distanza di un secolo (1918-2018), un’opera spesso esteticamente discutibile, riesce ancora a trasmettere il sacrificio dei nostri bisnonni? Un sondaggio tra i giovani di San Valentino Torio ha evidenziato una sconcertante mancanza di conoscenza riguardo al significato del monumento. Molti non ne conoscono il significato, né il contesto storico. La Grande Guerra, Caporetto, il Piave: termini che suscitano indifferenza. Prevale una confusione diffusa tra i due conflitti mondiali, i caduti e i partigiani, in una cultura “globalizzata” e “wikipedizzata” dove le distinzioni sembrano perdere importanza. L’Italia, dunque, un paese senza radici, senza memoria? Forse, al posto del monumento, una stele con un aforisma di Indro Montanelli – “Un Paese che ignora il proprio Ieri… non può avere un Domani” – potrebbe risvegliare una coscienza sociale assopita.
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