Categories: Cultura & Spettacolo

Come si celebrava il Carnevale a Nocera Inferiore nel secolo scorso?

Le celebrazioni carnevalesche a Nocera Inferiore del secolo scorso andavano ben oltre le semplici maschere. Si trattava di un’esplosione di folklore, musica tradizionale, un’inversione dei ruoli di genere attraverso abiti scambiati, e banchetti sontuosi. Molti oggi non ricordano più queste tradizioni, perciò un’immersione nel passato, agli albori del secolo scorso, può risultare affascinante, soprattutto per le giovani generazioni. Le celebrazioni di allora differivano notevolmente da quelle odierne. L’usanza del travestimento, infatti, è relativamente recente. In passato, l’unico travestimento consisteva nello scambio di abiti tra uomini e donne, che sfilando per le strade, interpretavano ruoli invertiti con gesti eloquenti. I costumi tradizionali erano raramente indossati. La gioiosa atmosfera giustificava comportamenti tutt’altro che civili, come lanci di uova, farina, o altri cibi, oppure tagli di capelli alle ragazze. Una maschera tradizionale era la “Vecchia di Carnevale”, una figura doppia: una persona impersonava sia Pulcinella che Quaresima (una vecchia che lo portava sulle spalle). L’effetto scenico si otteneva con una gonna lunga e un grembiule su un abito di Pulcinella, sovrapponendovi, all’altezza dello stomaco, il busto e la testa di paglia della vecchia, con braccia finte che sembravano sorreggere le gambe finte di Pulcinella. Solitamente, durante la sfilata, era accompagnata da altre maschere e musicisti che suonavano tammorre, putipù, tricaballacche, castagnette e scetavajasse. Al ritmo di questi strumenti, la Vecchia ballava, aiutata nei movimenti da Pulcinella, che suonava le nacchere e, con un bastone legato alla gamba, muoveva la testa, il busto e le braccia della Vecchia, creando un effetto quasi erotico. Pulcinella recitava frasi di buon augurio o scherno, chiedendo e ricevendo offerte di cibo rituale. La tradizione nocerina prevedeva anche una rappresentazione teatrale comica, la “Zeza”, recitata esclusivamente da uomini per le strade e le campagne. La trama ruotava intorno all’amore tra Tolla (o Vicenzella), figlia di Pulcinella, e don Nicola, uno studente calabrese, il cui matrimonio era ostacolato dal padre di lei, preoccupato per il suo onore, mentre sua moglie Zeza approvava, desiderando che la figlia si sposasse con un “signore, un abate, o un ricco”. Pulcinella, sorpresi gli innamorati, reagisce violentemente, ma alla fine, punito e sconfitto da don Nicola, si rassegna. Ogni Martedì Grasso, la sera si celebrava la morte di Carnevale. Su un carretto addobbato con fronde di castagno, verze, broccoli, salumi, e velari neri, si collocava un fantoccio su un trono a rappresentare Carnevale: un pupazzo con un corpo massiccio, una pancia enorme, il viso tondo e nero di carbone, un cappello di Pulcinella o un cilindro, una collana di salsicce e un mazzo di rape in mano. Un corteo lo accompagnava intonando un lamento funebre: “Signò, v’aimme purtato ‘o ciacione ‘e carnevale. ‘E gioia, isso mo’ more… E carnevale serunte, serunte e mo’ ca è Pasca facimmo ‘e cunte, ca sinun e buò fa carnevale puozze schiattà.” Dopo questo rituale, il pupazzo veniva bruciato in piazza tra canti e balli, a cui partecipava Quaresima. Prima della piazza, il corteo si fermava davanti alle botteghe e ai palazzi per ricevere offerte di cibo. A volte, erano presenti due cortei: quello di Carnevale e quello della Morte, che si incontravano la sera, con la Morte che, con il suo aspetto, uccideva Carnevale prima che venisse bruciato. La tradizione più sentita dai nocerini, però, era quella gastronomica. Il grande pranzo di Carnevale, ancora oggi conservato da molti, comprendeva lasagne, polpette e, come dolce, il sanguinaccio. Questo pranzo veniva ripetuto anche il Giovedì Grasso.

Redazione

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