Nata a Roma nel 1593, Artemisia Gentileschi fu una figura di spicco nella pittura barocca, fortemente influenzata dallo stile del Caravaggio. Dal maestro prese l’uso di modelli non professionisti, intensificando il realismo e il dramma delle sue opere. Tuttavia, il suo percorso fu segnato da un evento tragico: la violenza subita nel 1611 da Agostino Tassi, pittore e suo maestro. La testimonianza straziante di Artemisia, resa durante la tortura e le umilianti visite mediche imposte, portò alla condanna di Tassi per “sverginamento”, condanna rimasta, tuttavia, lettera morta grazie all’influenza dei potenti mecenati del colpevole.
Costretta a sposare Pierantonio Stiattesi per riabilitare l’onore familiare, Artemisia si trasferì a Firenze, nella speranza di una nuova vita. L’aspettativa di successo, però, fu disattesa, a causa dell’eccessivo indebitamento del marito. Questa situazione la spinse a cercare fortuna prima a Roma, e poi a Venezia, alla ricerca di commissioni più importanti.
Fu proprio nella Città Eterna, teatro del suo trauma iniziale, che Artemisia ottenne il riconoscimento artistico che meritava. La sua reputazione crebbe ulteriormente grazie a un viaggio a Londra, con il padre, e al suo successivo trasferimento a Napoli, dove morì nel 1654. La sua eredità artistica è innegabile, ma la sua storia è complessa e profondamente segnata dalle ingiustizie sociali e dalle aspettative di ruolo imposte alle donne del suo tempo. Pur apprezzata dai suoi contemporanei e dagli appassionati d’arte, Artemisia fu anche giudicata e biasimata per comportamenti considerati fuori dagli schemi sociali del tempo.
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