Francesco De Angelis, 52 anni, ex carabiniere in congedo, combatte una battaglia silenziosa contro un nemico insidioso: un tumore contratto, secondo lui, a causa dell’esposizione all’uranio impoverito durante le missioni militari all’estero tra il 1999 e il 2005. L’ex militare, che ha prestato servizio in Bosnia, Albania e Kosovo, ricorda con amarezza l’amico Antonio Attianese, ranger deceduto di recente per una malattia analoga, e denuncia l’indifferenza dello Stato. La moglie di Attianese ha addirittura respinto con indignazione la corona di fiori inviata dal governo, simbolo di una pietà tardiva e ipocrita. “È inaccettabile – afferma De Angelis – che lo Stato si preoccupi della ‘morte dignitosa’ di un mafioso come Totò Riina, ma ignori chi ha servito la Patria con onore e lealtà, esponendosi a rischi mortali”. De Angelis sottolinea il paradosso: mentre lui e i suoi commilitoni lottano per la sopravvivenza, gravati da spese mediche ingenti e dalla preoccupazione per il futuro delle loro famiglie, lo Stato non riconosce la connessione tra la loro malattia e l’esposizione all’uranio impoverito. “Non chiediamo favori – dichiara – ma solo il riconoscimento di una malattia professionale, assistenza sanitaria adeguata e il sostegno necessario per affrontare questa dura battaglia. Siamo stati soldati, abbiamo giurato fedeltà alla nostra nazione; ora ci troviamo abbandonati al nostro destino, mentre l’Arma dei Carabinieri rappresenta l’unico baluardo di sostegno che abbiamo”. La domanda che tormenta De Angelis, e molti altri suoi colleghi, è: perché lo Stato continua a ignorare le conseguenze di questa esposizione letale? L’onere della prova dovrebbe ricadere sulle istituzioni, che dovrebbero dimostrare la non correlazione tra la malattia e le missioni all’estero, non sui singoli militari che, morendo, lasciano un vuoto incolmabile e famiglie in difficoltà. “Se non ci ascoltano oggi – conclude De Angelis con un’amara consapevolezza – come possiamo aspettarci che ascoltino le nostre vedove domani?”
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