Profumi di cucina: quando il piacere diventa reato

Gli amanti del fritto misto devono prestare attenzione: la Corte di Cassazione ha stabilito che i forti odori provenienti dalla cucina possono costituire un reato. Una recente sentenza (n. 14467/2017) ha qualificato come “molestie olfattive”, rientranti nel reato di “getto pericoloso di cose” (art. 674 c.p.), le intense e persistenti emanazioni odorose generate dalle attività culinarie di una famiglia. Sebbene il fritto sia apprezzato per la sua croccantezza e il suo sapore, i suoi intensi aromi, spesso oltre la soglia di tollerabilità, possono impregnare abiti e capelli, causando disagi sociali. Numerose controversie tra vicini, originate da queste esalazioni, hanno portato la Corte Suprema a pronunciarsi. La sentenza in questione ha evidenziato l’inadeguata funzionalità della canna fumaria nella cucina dei responsabili, sottolineando l’importanza di adottare precauzioni come impianti di aspirazione funzionanti, sia nelle abitazioni private che nei locali commerciali, per evitare di incorrere in sanzioni, che possono arrivare fino a un mese di reclusione o 200 euro di ammenda. È quindi fondamentale ricordare che, pur potendo cucinare liberamente a casa propria, è necessario evitare eccessi che possano disturbare il vicinato. Infatti, le “molestie olfattive” non si limitano agli odori di cibo, ma possono derivare anche da fumi, escrementi animali o sostanze chimiche. In conclusione, è sempre opportuno moderare le proprie attività, evitando di superare la soglia della tollerabilità olfattiva, anche per il benessere personale. Un’alimentazione più leggera, come un semplice riso in bianco, potrebbe essere una scelta più salutare e meno conflittuale.