Ricordo ancora il legame profondo che mi unisce al mio giornale locale, testimone della mia nascita, annunciata pubblicamente nel luglio del 1956. Questa riflessione nasce da un recente incontro con il professor Gennaro Apostolico, illustre docente del Liceo Classico “Giambattista Vico”, dove studiai. La nostalgia mi ha riportato ai fasti di quell’istituzione, oggi ingiustamente oscurati. Mio marito, che frequentò lo stesso liceo quattordici anni prima di me, conferma l’impronta indelebile lasciata da questa esperienza formativa. Fin da piccola, ascoltando i racconti di casa, ho appreso della prestigiosa storia del liceo, rinomato per l’eccellenza dei suoi docenti e degli allievi di talento che ha formato. Ho avuto il privilegio di studiare con maestri straordinari e presidi autorevoli (prima che la burocrazia li ribattezzasse dirigenti scolastici, svuotandoli di parte della loro autorevolezza), culminando con il compianto Francesco Fasolino, umanista di grande spessore. Ricordo, tra gli ex allievi illustri (e invito i lettori ad arricchire questo elenco), Michele Lener e Michele Prisco. L’anno scorso, conversando con il presidente e il vicepresidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano, ho riscontrato profonda ammirazione per Michele Lener, figura di spicco del Foro meneghino; uno dei due era commosso fino alle lacrime, essendo stato suo praticante. Ero orgogliosa del legame familiare e delle foto di mio nonno, Mario Barbato (anch’egli avvocato), con Lener. Di Michele Prisco, celebre scrittore, e la cui sorella, Emma, sposò un Gabola, la nostra famiglia serbava grande stima; mio zio Pierino mi raccontò della sua gioia per il Premio Strega vinto nel 1949 con “La provincia addormentata”, successo bissato nel 1966 con “Una spirale di nebbia”. A Napoli, frequentai la scuola con sua figlia Annella. Un altro illustre nocerino, Domenico Rea, seppur autodidatta di grande talento, ebbe un rapporto conflittuale con la sua città natale, che persino disprezzò, forse a causa di un’esclusione da parte della borghesia locale. Ritornando al Liceo “Giambattista Vico”, sento di essere l’ultima dei Mohicani a custodire la fierezza per una scuola che ha forgiato menti brillanti, grazie all’insegnamento di docenti di grande levatura. Oggi, come molte realtà contemporanee, il liceo è divenuto un semplice contenitore, dove non si celebra l’eccellenza del passato, ma si formano individui privi di una forte identità, accontentandosi di una mediocrità deprimente, spinti da un’ambizione limitata all’accumulo di beni materiali, ostentando simboli di un successo effimero. Il vero gioiello, invece, sarebbe la cultura e l’intelligenza, coltivate in un liceo classico capace di valorizzarle. Temo di sembrare una nostalgica, ma il declino del mio amato liceo mi addolora profondamente. Annamaria Barbato Ricci.
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