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L’inutile splendore

Grande gioia vi annuncio, lettori (se esistenti e interessati), grazie a Gigiche che mi ha sollecitato: quel tanto agognato intervento chirurgico, nonostante Torquato inizialmente lo avesse ritenuto impossibile per legge (cataratta non rientra tra le malattie mentali, anche se poi, contraddicendosi, ha sentenziato “non stai bene di testa”), l’ho eseguito autonomamente. Mio nipote, il dottor Lello Contursi, eminente oculista, ha officiato l’operazione. Finalmente, quella maledetta cataratta è stata rimossa. Ora, dopo la convalescenza, come cantava un vecchio jazz degli anni ’40, “inizio a vedere le luci”. “A vedere chiaro”, si fa per dire, soprattutto riguardo alla politica. Si vede, certo, ma vedere e comprendere sono due cose distinte. Come è possibile, dunque? D’Alema e Bersani, presunti custodi del lascito della sinistra italiana, hanno generato un’ennesima spaccatura nell’unico partito potenzialmente capace di un’azione di sinistra, alimentando i propri rancori per la marginalizzazione e creando un altro piccolo feudo personale dove la loro mediocrità può prosperare. E tutto ciò non per divergenze ideologiche o di visione futura, ma per questioni congressuali e calendariali elettorali. Fini, a cui Almirante aveva affidato il compito storico di mantenere viva la fiamma di una destra pulita, moderna e legalitaria, libera da nostalgie restauratrici ma non rinnegata, custode di ordine, dignità nazionale, patriottismo, liberalismo senza eccessi e socialità senza comunismo, è sprofondato nell’ignominioso sospetto di appropriazione indebita e collusione con personaggi poco raccomandabili, arrivando a definirsi “un coglione”. Eppure, in nome di questo “coglione”, tanti giovani hanno combattuto e perso la vita durante gli anni di piombo. Orlando, pressoché sconosciuto fino alla nomina a Ministro della Giustizia da Renzi (nomina del tutto immeritata, dato che non aveva mai frequentato un’aula di tribunale, come dimostra la sua inoperosità), ora si candida contro lo stesso Renzi che lo ha lanciato. Vergogna? Apparentemente, un concetto obsoleto. Vanità, ambizione e sete di potere offuscano la realtà. Giacomo Leopardi aveva ragione: “Opatria mia, vedo le mura e gli archi / E le colonne e i simulacri e l’erme / Torri degli avi nostri / Ma la gloria non vedo”. Ma chi oggi si occupa di queste “stupide fantasie poetiche”? Il web, la rete, Facebook: qui ci si informa, si discute, si elegge. Una contaminazione, un virus, un’epidemia inarrestabile che ci condurrà all’incretinimento di massa. È esattamente ciò che desiderano i fautori del capitalismo globalizzato che finanziano e manipolano i social network. Solo i “vecchi” ricordano Leopardi, Dante, Manzoni… e pazienza. Ma è ancora più grave che si siano dimenticati Marx, Weber e Marcuse. Aldo Di Vito [email protected]

Redazione

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